sabato 2 Novembre 2024

Tangenti e fallimenti: Zelensky fa tabula rasa al ministero della Difesa ucraina

Dopo appena due settimane dalla cacciata del ministro della Difesa, Oleksij Reznikov, il presidente ucraino Zelensky ha rimosso anche quasi tutti i suoi viceministri facendo tabula rasa dei vertici della Difesa da cui dipendono le forze armate ucraine. Il motivo principale riguarda la dilagante corruzione presente all’interno del ministero e, in generale, nelle istituzioni ucraine, ma non è da sottovalutare che a contribuire a questa decisione abbia concorso anche il sostanziale fallimento della controffensiva ucraina. Già lo scorso gennaio gli scandali legati alle tangenti e agli appalti illeciti concessi dagli uomini di Reznikov avevano provocato una crisi politica rendendo necessarie le prime “purghe” all’interno degli uffici del ministero: erano stati rimossi, infatti, sei viceministri, cinque governatori – in tempo di guerra responsabili delle amministrazioni militari regionali – e il viceprocuratore generale. L’ultimo scandalo emerso pochi giorni fa è relativo ad una truffa, scoperta dalla procura, sull’acquisto di carburante con cui mettere in volo i caccia militari ucraini. Dopo la rimozione di Reznikov, il cambio dei suoi uomini era una mossa obbligata: oltre a Reznikov – sostituito da Rusten Umerov – sono stati estromessi dal loro incarico il viceministro della Difesa Anna Maliar, Vladimir Gavrilov, Rostislav Zamlinsky, Denis Sharapov, Andrey Shevchenko, viceministro con delega all’Integrazione Europea, e Vitaly Deinega con delega alla digitalizzazione. Infine, è stato silurato anche Konstantin Vashchenko, il Segretario di Stato della Difesa.

A fare pressioni in questo senso sono stati anche gli “alleati” di Kiev – USA e UE – che da sempre pongono l’accento sulla piaga della corruzione che rallenta l’ingresso del Paese est europeo nell’Unione Europea e rischia di vanificare o portare ad una pessima gestione degli aiuti finanziari e militari occidentali: non a caso, la rimozione di Reznikov è arrivata alla vigilia dell’arrivo di Blinken a Kiev, mentre il licenziamento dei suoi vice giunge ora, poco prima della visita di Zelensky negli USA. Oltre alle pressioni esterne, non stupisce che con il cambio del titolare del ministero della Difesa, si sia reso necessario cambiare anche la squadra di lavoro: sembra, infatti, che Umerov sia un manager molto esperto mai travolto dalla profonda corruzione che in questi mesi di guerra ha caratterizzato i vertici della Difesa: oltre agli appalti gonfiati, infatti, risulta anche un giro di mazzette pagate nei distretti militari per ottenere il permesso all’espatrio o certificati di non idoneità alla mobilitazione per evitare di finire al fronte.

In un primo momento, dopo l’emergere dei primi scandali, Zelensky aveva salvato la poltrona a Reznikov, limitandosi a rimuovere i dirigenti corrotti, ma in seguito alle inchieste giornalistiche sono emersi così tanti illeciti che era impossibile non imputarli al ministro della Difesa e, indirettamente, al presidente ucraino che aveva evitato di rimuoverlo. Non è un caso, dunque, che secondo un sondaggio condotto dalla “Fondazione per le iniziative democratiche” Ilko Kucheriv, dal Centro Razumkov e dall’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev nei mesi di luglio e agosto 2023, il 78% degli Ucraini ritiene il presidente Zelensky direttamente responsabile della corruzione nel governo e nei distretti militari. Un fattore che fa calare a picco la credibilità dell’ex comico ucraino e deleterio soprattutto considerato che il suo legittimo mandato presidenziale scadrà l’anno prossimo. Un contesto che potrebbe mettere a rischio non solo la sua credibilità, ma anche la sua legittimità. Così il capo ucraino è corso ai ripari facendo piazza pulita di un sistema al limite del marcio.

Alle motivazioni politiche, però, si aggiungono anche quelle militari: non è da escludere, infatti, che le ragioni dello smantellamento dell’apparato della Difesa sia anche imputabile agli scarsi risultati della controffensiva di Kiev: il territori riconquistati, infatti, sono di dimensioni irrisorie, specie rispetto alla superficie complessiva delle regioni occupate da Mosca e le forze ucraine fanno estremamente fatica a sfondare le linee russe. Uno scenario osservato di recente anche dal Financial Times (FT), uno dei media economici britannici più autorevole e convinto sostenitore della causa di Kiev. In un articolo intitolato “Le dure lezioni dell’offensiva estiva dell’Ucraina”, l’organo di stampa inglese scrive, ad esempio, che «l’idea che le forze ucraine, prive di copertura aerea, avrebbero sfondato le linee russe è sempre stata più una trama da film hollywoodiano che una realtà» e che «gli esigui risultati hanno messo in luce le divisioni tra Kiev e alcuni ufficiali occidentali sulla strategia [da adottare]». Il quotidiano britannico parla inoltre di «insostenibili perdite durante il contrattacco» che hanno indotto Kiev a intraprendere una campagna di logoramento attraverso «piccoli assalti di fanteria», cambiando così la precedente strategia che consisteva nel tentativo di sfondare le linee nemiche attraverso assalti meccanizzati. Nonostante le truppe ucraine siano riuscite a recuperare una manciata di piccoli villaggi, secondo il FT, «i progressi sono stati lenti e in gran parte in fase di stallo da metà agosto».

Tra Kiev e Washington vi sono divergenze sulle strategie da adottare: gli ucraini accusano spesso gli specialisti alleati di mandarli a morire con consigli scollegati dalla realtà del territorio e non riescono ad adottare la dottrina NATO della guerra armata combinata: azioni coordinate di fanteria, mezzi corazzati, artiglieria e difesa aerea. Inoltre, contrariamente al parere USA, i vertici ucraini hanno inviato le truppe migliori sul fronte nord-orientale invece di concentrarle nel tentativo, per ora fallito, di sfondamento a sud. Si tratta di una serie di fattori che hanno arenato la controffensiva e che, insieme al fenomeno dilagante della corruzione, hanno reso necessario un riassetto radicale dei vertici del ministero degli Esteri: infatti, tra gli altri fattori negativi, si aggiungono la mancanza di uomini sufficienti al fronte e delle armi e delle munizioni promesse dagli alleati occidentali. Una condizione indispensabile affinché Kiev ottenga tali costosissimi aiuti è quindi l’integrità delle istituzioni, specie in un momento in cui l’economia occidentale arranca gravata da inflazione e scarsa crescita.

[di Giorgia Audiello]

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