Caro Gianni, i miei primi ricordi sono degli anni in cui eri Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, di quando in ascensore facevamo delle discussioni fulminanti, schegge splendide di una laicità culturale totale, cattolici tutti e due ma estranei alle obbedienze.
Sul piano scientifico, teorico e anche politico non molto ci accomunava, dato che io allora davo la priorità al testo e alle sue ragioni di coerenza e coesione e quindi di indipendenza dalle questioni ideologiche, dalle valutazioni e dagli orientamenti di ordine metafisico.
E poi il Dipartimento di Scienze Umane che ci eravamo inventati come club dei refuses. Caproz ero io per te e per tutti i tuoi, ora davvero sento una nostalgia assoluta. L’ermeneutica ci salvava, tutto era possibile, i confini non esistevano e la Semiologia mia e dei miei amici e colleghi coraggiosi sembrava quasi una scienza inquieta e indefinita, libertaria e indisciplinata.
Non è vero, Gianni, che tu non ci sei più, ti sei semplicemente trasformato in una interpretazione di te stesso, persona onesta e sincera, intellettuale senza censure, propositore di visioni.
Ti abbiamo voluto bene e ora ti leggeremo ancora, lasciando che ogni memoria si trasformi in un dono di libertà. Infine, come dimenticare che con Umberto Eco avevi in comune esordi lontani.
Due intellettuali come due fari nelle tempeste del poco di ora, un hic et nunc che cerchiamo ogni giorno di capire ma anche soprattutto di cambiare.
[di Gian Paolo Caprettini]