Il governo ha apportato delle modifiche alla norma sulla tassa agli extraprofitti delle banche – varata lo scorso 8 agosto – non solo per risolvere le divisioni che la stessa aveva suscitato in seno alla maggioranza, ma anche per tranquillizzare la Banca Centrale Europea (BCE) che aveva espresso un parere negativo sull’iniziativa dell’esecutivo italiano, sostenendo che l’imposta straordinaria potrebbe creare «prospettive più incerte» per gli enti creditizi. L’accordo di maggioranza, raggiunto il 22 settembre, confluirà in un emendamento del governo al DL Asset – con cui si istituisce la tassa – che soddisfa completamente il vicepremier Antonio Tajani e il suo partito, tanto che Forza Italia ritirerà tutti gli emendamenti presentati.
Nello specifico, le modifiche apportate riguardano due fattori: il prelievo, che verrà calcolato su una base diversa, escludendo il margine di interesse sui titoli di Stato e la possibilità di scegliere se pagare o destinare al patrimonio l’importo della tassa, sospendendone il pagamento. Per far sì che l’imposta non venga scaricata sui clienti, il governo ha attivato la vigilanza dell’Antitrust. Inoltre, la nuova norma modifica il tetto massimo dell’imposta che passa dallo 0,1% del totale dell’attivo allo “0,26% dell’importo complessivo dell’esposizione al rischio su base individuale”, come si legge nel testo.
Nonostante le modifiche, il governo stima che non dovrebbe cambiare il gettito della tassa, calcolato in poco meno di tre miliardi e che dovrebbe servire soprattutto per finanziare una parte della Legge di bilancio. Si tratta comunque di una cifra troppo bassa per coprire una manovra che si aggira intorno ai 20 – 25 miliardi e che non può servirsi del deficit proprio durante l’anno in cui tornerà in vigore il Patto di Stabilità. A complicare la situazione è il fatto che la possibilità di sospendere il pagamento, optando per la patrimonializzazione, potrebbe ulteriormente ridurre gli incassi previsti: l’eventuale tassa destinata al patrimonio, infatti, sarà versata alle casse dello Stato solo nel momento in cui la banca dovesse decidere di distribuire quel patrimonio agli azionisti. Le banche potrebbero dunque legittimamente scegliere di destinare gli extraprofitti al rafforzamento del proprio capitale, lasciando l’erario a secco.
Quest’ultima opzione conviene soprattutto ai piccoli istituti creditizi, come le Banche popolari che per legge devono già destinare al patrimonio una parte importante degli utili prodotti. L’aumento di capitale rafforza il patrimonio di vigilanza delle banche richiesto dalla BCE. Per questo motivo, la riscrittura della norma va incontro alle aspettative dell’istituto di Francoforte smussandone le preoccupazioni iniziali, tra cui anche il fatto che la norma originaria poteva allontanare gli investitori dei titoli di Stato. Scorporando, invece, dal computo gli interessi sui bond, il rischio non si dovrebbe porre. Inoltre, con la modifica in questione, il governo italiano si è messo al riparo anche da un’altra critica della BCE, ossia l’inopportunità di utilizzare il gettito senza indicarne le finalità all’interno della manovra: il governo ha reso noto che la tassa verrà destinata al fondo per la riduzione della pressione fiscale per famiglie e imprese, ma anche al rifinanziamento del fondo di garanzia presso il Mediocredito Centrale per le piccole e medie imprese.
Se da un lato le modifiche apportate alla tassa sugli extraprofitti vanno incontro alle richieste della BCE, dall’altro, però, rischiano di diminuire notevolmente il volume del gettito da destinare alla Legge di bilancio, favorendo a tutti gli effetti gli istituti bancari, sia i grandi che i piccoli. Una situazione che non risolverebbe, dunque, la difficoltà di reperire fondi per la manovra, ma andrebbe incontro alle esigenze di solidità patrimoniale delle banche su spinta della BCE. Già ad agosto comunque diversi analisti avevano fatto notare che i calcoli sul gettito erano stati svolti male: il gettito in base al metodo originario di computo dell’imposta, infatti, sarebbe stato molto più alto di tre miliardi, più del triplo, come notava tra gli altri il quotidiano economico-finanziario Milano Finanza, che aveva anche definito «incostituzionale» l’imposta.
Proprio per racimolare quante più risorse possibile, il vicepremier Matteo Salvini ha proposto un nuovo condono edilizio scatenando l’ira dell’opposizione: con un mini-condono, «lo Stato incassa e i cittadini possono tornare nella disponibilità piena del proprio bene», ha detto il leader della Lega invitando ad «andare avanti con coraggio fino in fondo». Lunedì, l’esecutivo si appresta a varare, nel nuovo decreto con le misure in materia di energia, proprio una sanatoria rivolta a commercianti e autonomi. Tuttavia, i fondi che arriveranno da eventuali sanatorie non basteranno a far fronte alle esigenze della Legge di bilancio. Per questo, sarebbe opportuno puntare maggiormente sulla tassazione degli extra-profitti non solo delle banche, ma anche delle assicurazioni e di tutte le grandi imprese, tra cui quelle energetiche, che hanno ottenuto utili da capogiro anche grazie alla speculazione, resa più facile dalla forte inflazione e dalla scarsità di determinate materie prime. Il governo, però, ha preferito tassare solo le banche, ma anche in questo caso ha annacquato fortemente l’iniziativa fiscale, rischiando che quest’ultima si risolva in un sostanziale buco nell’acqua, per l’impossibilità di reperire le risorse necessarie da destinare alla Legge di bilancio.
[di Giorgia Audiello]