Prendiamoci ancora il diritto di sorridere osservando e ascoltando le sontuose banalità di chi è coccolato dal consenso, prendiamoci ancora il diritto di sorridere, con complice attenzione, quando ci troviamo in una conversazione a scambiarci impressioni, a inventarci futuri, a superare le ovvietà con uno scatto utopistico, creativo; e ancora il diritto di sorridere quando riflettiamo sul giusto e l’ingiusto, quando ci rendiamo conto della saggezza dei semplici, dell’urto a cui ti sottopongono i problemi da risolvere e della volontà e dell’energia che richiedono.
Il sorriso è una forma spirituale, perfino religiosa, è l’espressione quasi sacra di una gratitudine e di partecipazione alle sorti degli altri. C’è una saggezza sottile ma piena che ci porta a considerare come inevitabili le banalità, ad accettare con leggero disgusto le dichiarazioni politiche, la chiacchiera retorica del potere amplificata dalla comunicazione servile.
Ma il sorriso è soprattutto un dono, il dono della dimenticanza e insieme del progetto, la constatazione dell’identico e insieme la lotta per limitare gli automatismi e aumentare le sorprese. Il pittore è concentrato mentre dipinge ma poi sorride alla fine dell’opera, la cantante è concentrata nelle sue armonie e poi esplode alla fine in un enorme sorriso davanti al suo pubblico.
È la nostra anima che deve orientarsi al sorriso, anche raro ma mai imposto, un sorriso interiore che ispiri fiducia, che attragga, che non debba convincere ma semplicemente apparire, per un attimo, un attimo come uno scatto fotografico che ti appaghi le molte volte che lo rivedrai.
Il sorriso in fondo è una forma di ricordo e nello stesso tempo contiene l’inesprimibile. Come ci fa vedere, ad esempio, la Gioconda e il sorriso dell’ignoto marinaio, splendido romanzo di Vincenzo Consolo che si connette a quel celebre ritratto di Antonello da Messina conservato a Cefalù. Come scriveva Consolo, «tutta l’espressione di quel volto era fissata, per sempre, nell’increspatura sottile, mobile, fuggevole dell’ironia, velo sublime d’aspro pudore con cui gli esseri intelligenti coprono la pietà».
Ecco il sorriso è l’icona di un sentimento, di una pietas che tutto comprende, lasciando che si incontrino lieti ma un po’ beffardi l’intelligenza e l’amore.
[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]