Dieci agenti della polizia penitenziaria sono ufficialmente a processo con l’accusa di aver riempito di botte un detenuto nel carcere di Mammagialla, a Viterbo. Mercoledì scorso si è svolta la prima udienza, quella di ammissioni prove, al tribunale di Viterbo per lesioni personali aggravate e, per tre degli imputati, anche per calunnia e falso. La vittima del presunto pestaggio è il 35enne romano Giuseppe De Felice, che sarebbe stato picchiato fino a perdere l’udito il 5 dicembre 2018 nel carcere di Rebibbia.
Secondo i pm i dieci poliziotti alla sbarra avrebbero “percosso De Felice cagionando lesioni personali e segnatamente, tra l’altro, edema al condotto uditivo destro, trauma costale e contusione toracica destra”, abusando “della qualità di agente del corpo di polizia penitenziaria, approfittando di circostanze tali da ostacolare la privata difesa, quali lo stato di detenzione della vittima e l’assenza di videocamere nei luoghi in cui si sono svolti i fatti”. Dopo una caotica perquisizione della cella di De Felice, gli agenti avrebbero infatti percosso l’uomo sulle scale di Mammagialla, un luogo non inquadrato dalle telecamere della struttura.
A far scattare l’allarme è stata Teresa, la moglie del detenuto, dopo aver visto il marito in sede di colloquio con il volto tumefatto e pieno di lividi. Tramite l’attivista napoletano Pietro Ioia, la donna ha potuto contattare l’esponente del partito radicale Rita Bernardini, che ha inviato una segnalazione urgente al garante nazionale dei detenuti, a quello regionale, al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e al direttore del carcere di Viterbo, a cui ha chiesto di verificare quanto denunciato dalla moglie di De Felice e di «far visitare urgentemente il detenuto in modo da mettere agli atti della sua cartella clinica il relativo referto». L’uomo ha infatti dichiarato che, in seguito al pestaggio, l’avrebbero mandato per un’ora in isolamento senza provvedere a refertare le sue condizioni fisiche. Dopo aver ricevuto la missiva da parte della moglie di De Felice, il direttore del carcere ha raccolto la sua denuncia. Il direttore sanitario ha visitato l’uomo, diagnosticandogli la perdita di udito.
«Gli hanno perquisito la cella, messo a soqquadro tutto e hanno calpestato la foto che ritraeva noi due – ha raccontato Teresa sulla base di quanto riferitole da De Felice -, mio marito ha reagito urlandogli contro, prendendoli a parolacce». Questo episodio avrebbe fatto scattare le violenze.
Tra gli imputati, un sovrintendente e due assistenti capo rispondono di calunnia e falso a causa dei contenuti delle loro relazioni di servizio, in cui hanno cercato di far ricadere le colpe sul detenuto. “Onde evitare che la situazione degenerasse – ha scritto il primo – ordinavo al personale di polizia penitenziaria che aveva preso parte alla perquisizione ordinaria, di non allontanarsi dal posto e di prelevare il detenuto De Felice dalla propria stanza di pernottamento per allontanarlo dalla sezione IV B, mantenendo così l’ordine e la sicurezza all’interno della stessa. De Felice, con fare spavaldo e arrogante usciva dalla propria stanza incurante del nutrito numero di agenti di polizia penitenziaria presenti sul posto e subito allungava il passo per recarsi sulla rotonda della sezione”. Secondo i pm, tale ricostruzione dei fatti sarebbe falsa, così come il seguito: “De Felice si scagliava addosso agli assistenti capo Palozzi e Alfonsini, rei a suo dire di aver fatto una perquisizione contro i suoi diritti. Nasceva una colluttazione fisica tra il detenuto e l’unità di polizia penitenziaria presente e, con molta fatica, si riusciva a riportare alla calma il detenuto, contenendolo fisicamente, rendendolo così inoffensivo per la sicurezza degli operatori. Si rendeva necessario bloccare le braccia del detenuto e portarlo a forza in modo coatto alla locale infermeria… nonostante il nutrito numero di agenti è occorso uno sforzo non indifferente per bloccare il detenuto che, con tutta la sua forza, sfruttando la sua importante mole fisica, aveva messo in atto un’importante azione attiva di aggressione…”.
Sulla stessa scia i due assistenti capo, i quali hanno scritto che il detenuto “si scagliava fisicamente verso i sottoscritti, rei a suo parere di avergli fatto degli abusi. Solo la presenza di svariati colleghi impediva al detenuto di avere la meglio verso di noi e con molta fatica si conteneva l’azione fisica…”. Sarà il processo a chiarire ogni passaggio e tutte le responsabilità dietro questa storia.
[di Stefano Baudino]