giovedì 21 Novembre 2024

In Guatemala c’è aria di golpe: indigeni e studenti presidiano le strade

«Sembra un colpo di stato al rallentatore». Son le parole con cui Bernardo Arévalo, candidato progressista di centrosinistra che lo scorso agosto si è inaspettatamente aggiudicato le elezioni presidenziali in Guatemala con il 59,5% dei voti, ha descritto la condizione politica in cui si trova. Il neo eletto ha infatti dichiarato che qualcuno sta provando a impedirgli di salire in carica, tentando di rovesciare l’esito del ballottaggio: secondo alcuni analisti le motivazioni sarebbero da ricercare nella dura lotta alla corruzione insita fra le ‘classi alte’ che durante la sua campagna elettorale ha promesso di intraprendere dopo l’insediamento, previsto per il 14 gennaio.

Quella di Arévalo non è un’impressione personale. Dopo la decisione del Tribunale Supremo Elettorale (TSE) di respingere le accuse di Consuelo Porras, procuratrice generale che ha messo in discussione perfino la legalità dell’esistenza del Movimiento Semilla, il partito del neo presidente, entrando con forza nella sede del TSE lo scorso fine settembre gli agenti di polizia, su ordine del procuratore Rafael Curruchiche, hanno sequestrato documenti e scatoloni con schede elettorali, con il chiaro intento di annullare, in qualche modo, la nomina di Arévalo.

Episodio che ha spinto i sostenitori del presidente a riversarsi nelle piazze per chiedere alla Corte Suprema di destituire Curruchiche, Porras e il giudice Fredy Orellana, tutti colpevoli – e inseriti per questo dagli USA nella lista dei funzionari esteri ‘corrotti’ – di aver autorizzato l’irruzione negli uffici elettorali. Coro a cui si è unito anche Arévalo stesso, convinto che gli individui in questione siano parte integrante di un complotto mirato a impedirgli di salire in carica.

Le proteste – trainate soprattutto dagli abitanti di Totonicapán, una delle zone del Guatemala a maggiore concentrazione indigena, preoccupati per quello che considerano un abuso di autorità – non cesseranno fino a quando le richieste non saranno esaudite. Anzi, rischiano di inasprirsi dopo la mancata presenza di Consuelo Porras al tavolo di dialogo indetto il 4 ottobre dal Difensore civico per i Diritti Umani insieme alle autorità indigene (tra cui quelle di Totonicapán) per cercare, coinvolgendo i guatemaltechi, di trovare una soluzione.

Alla discussione era invece presente Ángel Pineda. Il segretario generale del Pubblico Ministero e rappresentante della Procura Generale ha spiegato che l’ente è tenuto ad intervenire ogni qualvolta ci sia un reclamo o una denuncia da parte dei cittadini: il compito della procura è indagare e quindi raccogliere prove in grado di determinare se sia stato commesso o meno un reato. Proprio come starebbe accadendo nel caso delle elezioni. Un iter, come spiegato da Pineda, che andrebbe considerato come uno strumento di garanzia democratica, e non come un nemico da combattere.

Ma «ora la gente che si è riversata per le strade, e che continuerà a farlo in ogni parte del Paese, ha delle richieste specifiche, che andrebbero ascoltate: le destituzione dei funzionari che vogliono distorcere la realtà», ha ribattuto Pacheco, rappresentante delle 48 comunità in cui è suddivisa Totonicapán. «E nessuno, durante l’incontro, ci ha fornito risposte su questo. Quindi noi continueremo a lottare per la democrazia». Soprattutto perché, come ha commentato Arévalo, «queste azioni porteranno all’annullamento del risultato elettorale e alla distruzione della libertà». Una previsione condivisa anche da Volker Türk, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, per cui «le azioni delle ultime settimane sembrano progettate per minare l’integrità del processo elettorale e minare lo stato di diritto in generale».

[di Gloria Ferrari]

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