Il Governo della Tanzania avrebbe compiuto omicidi, stupri e sfratti forzati nei confronti degli abitanti dei villaggi residenti attorno al parco nazionale di Ruaha, nella parte centrale del Paese, con la complicità della Banca Mondiale. È l’accusa emersa dopo mesi di indagini condotte dall’Oakland Institute, un think tank politico che monitora le violazioni dei diritti contro le comunità indigene che avrebbe trovato prove concrete degli abusi perpetrati dalle amministrazioni. Nell’ottobre del 2022, infatti, l’esecutivo avrebbe ordinato alle comunità di abbandonare le proprie case – nonostante ne detenessero legalmente la proprietà – promulgando un piano di sfratto per circa 21mila abitanti. Un ‘programma’ a cui la Banca Mondiale avrebbe tacitamente acconsentito fornendo il denaro necessario a finanziare un progetto da 150 milioni di dollari, denominato ‘gestione resiliente delle risorse naturali per il turismo e la crescita’ e messo in piedi principalmente per raddoppiare le dimensioni del parco – così da attirare, secondo le autorità, più turismo.
Gli abitanti dei villaggi residenti vicino al Ruaha, stando a quanto raccontato dagli stessi all’Oakland Institute, sarebbero stati cacciati in malo modo: i ranger avrebbero picchiato e ucciso e pastori e pescatori, violentato decine di donne e confiscato migliaia di capi di bestiame accusando gli allevatori di aver invaso il parco nazionale. «La Banca sta finanziando un modello di crescita economica oppressivo e violento basato sull’aumento delle entrate del turismo», ha commentato Anuradha Mittal, direttore esecutivo dell’Istituto. «E prima di fornire del denaro avrebbe dovuto esaminare attentamente il comportamento del Governo tanzaniano in materia di diritti umani. Invece ha guardato dall’altra parte e continua a farlo. Dovrebbe essere ritenuto responsabile», ha aggiunto. Le popolazioni, inoltre, hanno dichiarato di non essere state adeguatamente informate sugli sfratti, e di non aver ricevuto alcuna proposta alternativa. Due membri della comunità hanno per questo sporto denuncia contro la Banca Mondiale, accusandola di aver causato, insieme alle amministrazioni «danni alla loro identità, cultura e diritti».
Secondo Roland Ebole, un ricercatore di Amnesty International che si occupa di Tanzania e Uganda, l’intenzione di distruggere i villaggi della zona c’era già da molti anni: nel 2008, per esempio, mentre le comunità segnalavano i primi abusi, il Governo era già all’opera per elaborare il piano di espansione. Quest’ultimo dovrebbe riuscire a strappare quanti più terreni possibili agli autoctoni, così da ‘consegnarli’ in mano ai turisti – sulla cui spesa economica l’amministrazione fa molto affidamento – che solitamente si recano in zona per quella che viene definita ‘caccia ai trofei’: una pratica, ancora piuttosto diffusa, che prevede l’abbattimento per diletto di animali accuratamente selezionati – e spesso di grossa taglia, di cui il ‘cacciatore’ può conservare una parte del corpo come ‘trofeo’ – con il consenso del Governo.
Queste, insieme a quelle riservate alle comunità locali, sono “tattiche brutali delle autorità tanzaniane, indissolubilmente legate al finanziamento da parte della Banca Mondiale”, si legge nel rapporto. Accuse che l’organizzazione internazionale – che tra l’altro è nata per il sostegno allo sviluppo e la riduzione della povertà – ha dichiarato di «prendere molto sul serio», tanto da volerle esaminare e approfondire collaborando con il comitato di ispezione. «Se un progetto non aderisce agli standard sociali e ambientali, vogliamo saperlo e, cosa più importante, vogliamo migliorarlo».
Non è però di certo la prima volta che le autorità nazionali si ritrovano a fare i conti con accuse di questo tipo. Decine di migliaia di comunità, sparse in tutta la Tanzania, hanno più volte denunciato abusi civili. In alcuni precedenti articoli vi avevamo raccontato del recente caso dello sgombero violento di 70mila Masai, cacciati dall’area di Loliondo per far spazio a turisti e safari.
“Questo è solo un altro episodio di una crescente campagna di violenza condotta dal governo della Tanzania contro le comunità che vivono in prossimità di aree protette in tutto il Paese”, ha riferito il rapporto dell’Oakland Institute. E la Banca Mondiale avrebbe dovuto saperlo.
[di Gloria Ferrari]
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