Da quando è nato, il centro antiviolenza ‘Lucha y Siesta’ di Roma non trova pace. In quindici anni, le sue attiviste sono state costrette più volte a manifestare per le strade per scongiurarne la chiusura. Un ‘rituale’ fatto di balli, maschere e slogan, messo in campo questa volta per convincere la Regione Lazio, guidata da Francesco Rocca, a ritirare la decisione di serrare definitivamente i cancelli della struttura, da anni un immobile destinato ad accogliere centinaia di donne in fuga da situazioni di violenza. L’amministrazione regionale vuole infatti stralciare la convenzione che permette l’uso dello stabile all’interno del quartiere Tuscolano che dal 2008 ne ospita l’attività.
Per capire quanto sia determinante la decisione dell’amministrazione romana in questa storia – e perché – bisogna fare un passo indietro. Il centro ‘Lucha y Siesta’ nasce nel 2008 quando un gruppo di 300 donne occupa lo stabile di via Lucio Sestio di proprietà di ATAC (azienda pubblica per la mobilità di Roma). La struttura è abbandonata da anni: le attiviste la ripuliscono e gli danno nuova vita, trasformandolo in un luogo di accoglienza per donne vittime di abusi e mettendo a punto un’opera di ingegneria giuridica innovativa – con una equipe fatta di amministrativi, giuriste, attiviste e esperte in violenza di genere. Per più di dieci anni la ‘casa’ offre a centinaia di persone ospitalità, sostegno psicologico e legale, si prodiga a reinserirle nel mercato del lavoro e organizza attività culturali e laboratori.
Nel settembre del 2019 ATAC dice di dover vendere l’immobile per risanare i debiti ed evitare il fallimento, e per questo minaccia ‘Lucha y Siesta’ di sgombero. In difesa del centro si schierano comitati, persone e associazioni ma l’azienda, dopo aver sporto denuncia, fa addirittura irruzione nell’immobile con l’aiuto delle forze dell’ordine, identificando donne, minori e nuclei familiari.
È la Regione Lazio a guida Zingaretti che nell’agosto del 2021 acquista la struttura, offrendo al centro il comodato d’uso gratuito. Una convenzione che ora la giunta di Rocca vuole stracciare, nonostante Roma faccia già i conti da molti anni con numeri piuttosto bassi se si parla concretamente di difesa delle donne vittime di violenza. Per accogliere chi fugge da situazioni difficili, il Comune ha a infatti disposizione sul suo territorio poche decine di posti letto – che invece secondo la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne dovrebbero essere almeno 300. Un deficit colmato in parte proprio con il contributo di ‘Lucha y Siesta’, che mette a disposizione 14 stanze e collabora con i servizi sociali e la rete antiviolenza.
Dalla sua nascita il centro ha ospitato nella propria struttura quasi duecento donne (e poco meno di cento minori), e ne ha aiutate con supporto e sostegno almeno altre 1200. Aiuti di cui il nostro Paese necessita più che mai, visto che le violenze, gli stupri e le molestie sessuali contro le donne sono in continuo aumento.
All’otto ottobre il numero totale di femminicidi ha infatti toccato quota 93. La vittima più giovane aveva solo 13 anni, l’assassino più giovane, al momento del delitto, 17. Nella quasi totalità dei casi, l’assassino era conosciuto dalla persona uccisa: in 37 casi l’omicida era il marito, il partner, il convivente. In 13 casi, a compiere il gesto è stato l’ex partner da cui la persona uccisa si era separata o aveva espresso l’intenzione di separarsi. Negli altri casi la relazione con la vittima era: figlio, padre, cognato, genero, suocero, collega, conoscente, cliente.
Numeri e situazioni che per essere contrastati hanno bisogno di professionalità e supporto adeguato, come quello offerto dalla casa romana delle donne.
«Che sia chiaro, per il prossimo 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, non vogliamo panchine rosse, vogliamo Lucha y Siesta!», concludono le attiviste.
[di Gloria Ferrari]