giovedì 21 Novembre 2024

L’UE mette sotto inchiesta X perché non censura i contenuti filo palestinesi

Il social network X (ex Twitter) di Elon Musk è sotto l’occhio dell’Unione Europea per “presunta disinformazione” e “contenuti potenzialmente illegali” che non sono però ancora stati specificati. Anche Instagram, Facebook e Tik Tok sono sotto analisi, ma i fari della Commissione si sono concentrati principalmente su X, presumibilmente per i rapporti di cooperazione con Bruxelles meno solidi e alcune frizioni precedenti. La notizia è arrivata direttamente dal commissario per il Mercato interno Thierry Breton, che ha postato su X la lettera della Commissione per Elon Musk chiedendo un resoconto sulla trasparenza e lo sforzo nella lotta alla disinformazione entro 24 ore. La risposta è stata pubblicata sempre su X dall’amministratore delegato Linda Yaccarino e, secondo la lettera della Commissione, verrà inclusa in un dossier che valuterà la conformità del social al Digital Service Act (DSA): la nuova legge europea che ha sollevato perplessità sulla censura anche dal Garante per la privacy italiano. Musk avrà ora tempo fino al 18 ottobre per spiegare se e come è stato attivato un protocollo anti disinformazione, come previsto dal DSA.

La lettera di Breton apre con: «Dopo gli attacchi terroristici di Hamas contro Israele, abbiamo indicazioni che la piattaforma [X] è usata per diffondere contenuti illegali e disinformazione nell’Unione Europea. Ti ricordo che la legge sui servizi digitali prevede obblighi ben precisi in merito alla moderazione dei contenuti». Vengono poi elencati tre punti. In primo luogo, Breton chiede di essere “trasparente e chiaro” su quali contenuti sono consentiti e come agiscono le politiche aziendali. Viene poi fatto riferimento a notifiche di contenuti illegali in UE che, “nonostante le segnalazioni delle autorità competenti” citate da “fonti qualificate”, starebbero continuando a circolare sulla piattaforma. Per ultimo, viene richiesto di «mettere in atto misure di mitigazione proporzionate ed efficaci per affrontare i rischi per la sicurezza pubblica derivanti dalla disinformazione» e di «garantire con urgenza che i sistemi siano efficaci». Infine, viene disposto l’invito a garantire una risposta entro 24 ore che sarà oggetto di valutazione e viene ricordato che eventuali violazioni al Digital Service Act possono portare a sanzioni.

Elon Musk ha risposto poco dopo sempre su X chiedendo di elencare le eventuali violazioni e concludendo con “merci beaucoup”, presumibilmente una provocazione che richiama le origini francesi del commissario: «La nostra politica è che tutto sia open source e trasparente, un approccio che so che l’UE sostiene. Ti preghiamo di elencare le violazioni a cui alludi su X, in modo che il pubblico possa vederle». Il commissario Breton non solo ha risposto senza elencare le violazioni, ma aggiungendo che sta ad X dimostrare che “mantiene la parola”: «Siete ben consapevoli delle segnalazioni dei vostri utenti e delle autorità sui contenuti falsi e sull’esaltazione della violenza. Sta a te dimostrare che mantieni la parola. Il mio team rimane a vostra disposizione per garantire la conformità ai DSA, che l’UE continuerà a far rispettare rigorosamente».

La lettera di risposta a quella di Breton è stata pubblicata da Linda Yaccarino, amministratore delegato di X, che ha annunciato di rispettare il Digital Service Act, di aver riorientato i team interni per affrontare questa situazione in rapida evoluzione e di aver «preso provvedimenti per rimuovere decine di migliaia di contenuti relativi all’attacco a Israele». Nella risposta si legge che «dall’inizio del conflitto X ha identificato e rimosso centinaia di account affiliati ad Hamas dalla piattaforma» e che sta «valutando e affrontando in modo proporzionato ed efficace i contenuti falsi e manipolati», prendendo sul serio «le segnalazioni relative a contenuti potenzialmente illegali».

Il Digital Service Act è il regolamento europeo entrato in vigore il 16 novembre 2022 per tutti gli intermediari online che forniscono servizi sul territorio comunitario, con un livello di obblighi crescente e proporzionato al numero di utenti raggiunti. Le grandi piattaforme online sono soggette a requisiti sulla valutazione indipendente e annuale dei rischi sistemici di disinformazione, contenuti ingannevoli, violazione dei diritti fondamentali dei cittadini e violenza di genere e minorile. Le violazioni del regolamento possono comportare multe fino al sei per cento del fatturato globale e sono sorvegliate dalle autorità nazionali. Il regolamento pone particolare attenzione al fenomeno della “disinformazione” ma restando sul vago e non definendo nel dettaglio ciò che può essere considerato come tale. Alcune preoccupazioni sul regolamento sono state espresse anche dal Garante per la privacy italiano che ha spiegato: «il Regolamento sembrerebbe intenzionato a riconoscere ai gestori delle piattaforme il diritto-dovere di decidere in autonomia e sulla base semplicemente delle proprie condizioni generali quale contenuto lasciare online e quale rimuovere e quale utente lasciar libero di pubblicare e quale condannare all’ostracismo digitale».

[di Roberto Demaio]

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