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La strage all’ospedale di Gaza scatena la rabbia nel mondo arabo

Il tremendo attacco all’ospedale al-Ahli, nella striscia di Gaza, che nella serata di ieri ha ucciso centinaia di civili ha prontamente provocato rabbia nei governi e nelle popolazioni arabe. Mentre Israele cerca di negare la paternità della strage, attribuendone la causa ad un razzo lanciato male dai “terroristi”, nel mondo arabo nessuno crede alla giustificazione presentata senza alcuna prova. In molti Paesi si sono scatenate immediate proteste popolari che hanno preso di mira le ambasciate israeliane e statunitensi, proprio a poche ore dal viaggio programmato di Biden, che avrebbe dovuto incontrare – oltre al premier israeliano Netanyahu – il re di Giordania e il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen, i quali hanno però annullato l’incontro per protesta. Con il viaggio diplomatico  il presidente americano puntava a tenere a moderare la reazione dell’alleato israeliano, con lo scopo di scongiurare il possibile allargamento del conflitto. Una missione che ora sarà molto difficile, anche perché – stando alle dichiarazioni rilasciate dai governi arabi – la linea rossa è stata superata.

La rabbia si è riversata nelle strade e nelle piazze del mondo arabo. In tutta la Cisgiordania sono stati proclamati tre giorni di lutto, lo sciopero generale e sono partiti immediati cortei spontanei di protesta che hanno coinvolto anche i palestinesi di Gerusalemme Est e sono stati particolarmente violenti, con attacchi alle forze di occupazione, a Jenin, Nablus, Betlemme e Ramallah. In Turchia migliaia di persone si sono radunate a Istanbul, mentre un gruppo di manifestanti ha assaltato la stazione radar della NATO di Kürecik. In Iraq un attacco con i droni ad una base americana è stato sventato [1]. Mentre le proteste più accese si sono verificate in Iran – dove una folla oceanica si è riunita a Teheran – e soprattutto in Libano. Nella capitale Beirut migliaia di manifestanti si sono riversati in strada in un lunghissimo corteo contro Israele composto da auto, motorini e persone a piedi. Mentre altri manifestanti sono passati all’azione dando alle fiamme l’ambasciata americana e attaccando il palazzo delle Nazioni Unite, per protestare contro l’inazione della comunità internazionale.

La rabbia dei popoli arabi ha trovato cassa di risonanza nelle proteste formali dei governi. Il re di Giordania, Abdullah II, ha definito l’attacco «un crimine di guerra» e, come detto, ha annullato l’incontro con Biden. L’Egitto ha invitato la comunità internazionale ad intervenire per far rispettare a Israele il diritto internazionale. L’Arabia Saudita, che con Israele stava firmando uno storico accordo di normalizzazione dei rapporti diplomatici,  condanna [2] «nella maniera più forte possibile l’atroce crimine commesso dalle forze di occupazione israeliane». La Turchia, alleato della NATO, ha reagito duramente: il presidente Erdogan ha definito [3] gli attacchi israeliani «privi dei valori umani più basilari» mentre tutti i partiti turchi – incluso il filocurdo HDP – hanno firmato un documento congiunto di condanna a Israele.

Ma a preoccupare maggiormente Tel Aviv e l’esercito israeliano sono le reazioni del popolo palestinese in Cisgiordania e a Gerusalemme – dove la situazione rischia di esplodere – e soprattutto quella dell’Iran e delle milizie libanesi di Hezbollah controllate da Teheran. Il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, ha annunciato [4] che «le fiamme delle bombe israelo-americane sganciate stasera sui palestinesi innocenti in cura nell’ospedale di Gaza travolgeranno presto i sionisti», mentre i miliziani di Hezbollah hanno proclamato per oggi «una giornata di rabbia senza precedenti», chiamando tutti i musulmani a punire i crimini di guerra israeliani. Le prossime ore saranno decisive per capire se il conflitto si andrà ad allargare al Libano, con esiti che a quel punto potrebbero essere imprevedibili con un possibile effetto domino che potrebbe portare a un conflitto regionale allargato. Il presidente USA, se vuole evitare di aggiungere un nuovo fronte a quello ucraino, dovrà riuscire ad obbligare il governo israeliano ad abbassare la tensione e cessare i bombardamenti su Gaza. Ammesso che a questo punto possa bastare.

[di Andrea Legni]