Due importanti società del food delivery dovranno versare all’Inps i contributi per migliaia di rider, per un totale – non ancora precisamente calcolato – di svariati milioni di euro. Lo ha deciso la Sezione lavoro del Tribunale di Milano nell’ambito di due cause parallele che Deliveroo Italy e Uber Eats Italy (ora non più attiva sul territorio italiano) avevano intentato all’ente previdenziale. Il periodo in oggetto è, per Deliveroo, il 2016-2020, mentre per Uber si parla del 2020-2021.
Nello specifico, il giudice si è espresso sui verbali amministrativi notificati alle società – che li avevano impugnati – dall’Ispettorato del lavoro, in cui si stabiliva che occorresse regolarizzare le posizioni lavorative di migliaia di rider. I ciclofattorini, inquadrati come lavoratori autonomi, dovevano essere invece considerati “coordinati continuativi”, sulla base dell’art. 2 del Jobs Act. Secondo il giudice, dunque, ai rider che hanno lavorato per Deliveroo dal “gennaio 2016 al 31 ottobre del 2020” va applicata “la disciplina del lavoro subordinato”, che contempla “obbligazione per contributi, interessi e sanzioni nei rapporti con l’Inps e per premi nei rapporti con l’Inail” per “l’orario effettivamente svolto dai collaboratori, da determinarsi dal Login fino al Logout dalla piattaforma per ogni singolo giorno lavorativo e con versamenti da effettuarsi nella Gestione Dipendenti, con le aliquote contributive per il lavoro subordinato, per quanto riguarda il debito nei confronti dell’Inps”. Sulla stessa scia si pone la sentenza riferita al caso Uber.
Commentando la pronuncia attraverso un comunicato, Deliveroo ha dichiarato che farà sicuramente appello, aggiungendo che i suoi legali stanno “analizzando i dettagli della decisione che si basa su un modello vecchio e un sistema di lavoro dismesso e che non esiste più”. Anche Uber Eats ha reagito alla sentenza con una nota: “Non condividiamo la decisione e siamo pronti a fare appello nelle sedi competenti – ha scritto la società -. La maggior parte dei fatti presi in considerazione nelle indagini non sono applicabili a Uber Eats e descrivono modelli operativi della concorrenza molto diversi dalle nostre passate operazioni di delivery”. Ora la palla passa all’Inps, che dovrà calcolare l’esatta quota di contributi per entrambe le aziende.
Nel corso degli ultimi anni, sono molte le pronunce giudiziarie che hanno riconosciuto i rider come lavoratori subordinati, confermando che essi non possono essere pagati con salari inferiori ai minimi dei contratti nazionali di categoria né possono essere licenziati da un giorno all’altro con l’inoltro di una semplice comunicazione via posta elettronica. La principale battaglia dei ciclofattorini, che continuano a scioperare in tutta Italia – l’ultima grande manifestazione, che ha riunito i rider di Glovo e Deliveroo, si è svolta quattro giorni fa a Milano – concerne l’applicazione integrale del Contratto Nazionale della logistica anche alla loro categoria. Cattive notizie sono però arrivate dall’Esecutivo Ue, che ha subordinato alla soddisfazione di determinati requisiti la verifica dell’effettiva dipendenza dei rider dalle società del settore, e dal governo italiano, che attraverso il Decreto lavoro approvato lo scorso maggio ha eliminato il diritto dei ciclofattorini di conoscere le regole dell’algoritmo che “governa” la loro attività. Erodendo, così, l’obbligo di trasparenza per le aziende che ne fanno uso.
[di Stefano Baudino]
Spero che i lavoratori ottengano quanto è loro dovuto e che si attivino per trovare o imparare un mestiere migliore. Infine auspico che queste aziende chiudano e che la gente, se ha necessità di cibo o altro, si alzi dalla sedia e vada a procurarselo. Neanche l’uomo primitivo aspettava che altri procacciassero ciò di cui aveva bisogno. Una società del genere è retrocessa alle fasi iniziali dello sviluppo.