Mentre nella Striscia di Gaza imperversano intensi bombardamenti e aspri combattimenti tra le Forze di difesa israeliane (IDF) e i militanti di Hamas, il segretario di Stato americano, Antony Blinken, è impegnato in una missione diplomatica in Medioriente che lo ha portato a Ramallah per dialogare con il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (ANP) Abu Mazen sulla futura gestione di Gaza: quello ipotizzato tra Blinken e Abu Mazen sarebbe l’ennesimo piano di pace mediato dagli USA di difficile realizzazione, non solo perché il capo palestinese è screditato agli occhi del suo stesso popolo, ma anche perché il presidente israeliano Netanyahu e il suo governo non hanno mai nascosto la loro contrarietà alla soluzione dei due Stati, auspicata ora dagli USA. Sul piano militare, il portavoce delle IDF, Daniel Hagari, ha fatto sapere che le forze dello Stato sionista hanno suddiviso la Striscia in due parti e che sono «pronte a qualsiasi scenario»: le IDF hanno circondato Gaza City e hanno fatto sapere che entreranno presto nella principale città della Striscia. Hagari ha inoltre aggiunto che i bombardamenti andranno avanti nei prossimi giorni, in concomitanza con le operazioni militari di terra. Relativamente agli ultimi attacchi, l’agenzia di stampa palestinese Wafa ha parlato di bombardamenti “senza precedenti”, tanto che i rappresentanti delle diciotto principali agenzie delle Nazioni Unite, comprese Unicef, PAM e OMS hanno fatto un appello congiunto per un “immediato cessate il fuoco umanitario”. Secondo Wafa almeno quindici morti sono state registrate lunedì all’ospedale dei martiri di Al-Aqsa a seguito degli ultimi raid aerei che hanno preso di mira gli ospedali e alcuni quartieri residenziali. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver effettuato 450 attacchi aerei su Gaza la notte scorsa. Le vittime sono state almeno 200.
Contemporaneamente, Blinken ha incontrato il capo palestinese, Abu Mazen, per trovare un accordo sull’amministrazione della Striscia, quando termineranno le aggressioni militari da parte dello Stato ebraico. L’anziano presidente ha mostrato la sua disponibilità ad amministrare Gaza una volta cessato il fuoco a condizione che venga attuata la soluzione dei due Stati: «ci assumeremo pienamente le nostre responsabilità ma nel quadro di una soluzione politica globale che includa tutta la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza» ha affermato. Una soluzione quella dei due Stati da sempre osteggiata dal presidente israeliano Benjamin Netanyahu che ha silenziosamente approvato la presenza di Hamas a Gaza proprio come garanzia contro quella soluzione. Per questo motivo, Netanyahu sta creando sempre più problemi all’amministrazione statunitense, mentre gode ormai di grande impopolarità presso gli stessi cittadini israeliani che lo vedono responsabile per gli attacchi del 7 ottobre. Anche Abu Mazen non è ben visto dai palestinesi che lo accusano di avere tradito la causa del suo stesso popolo. Nonostante ciò, durante l’incontro Blinken gli ha detto che «Washington crede che l’ANP debba giocare un ruolo centrale in quello che accadrà dopo Gaza». Tuttavia, la soluzione dei due Stati non è di difficile attuazione solo per via della contrarietà del governo israeliano attuale composto da sionisti e ultraortodossi e per la mancanza di credibilità del capo palestinese – accusato spesso di collaborare col governo di Tel Aviv – ma anche per la presenza di un gran numero di coloni israeliani nella Cisgiordania. Inoltre, i ministri degli Esteri dei Paesi arabi incontrati ieri da Blinken ritengono che parlare del futuro di Gaza senza che prima siano cessate le ostilità sia prematuro.
Abu Mazen ha poi posto l’accento sulla questione umanitaria parlando di genocidio: «Ancora una volta ci incontriamo nella situazione più dura possibile: non ho parole per descrivere la guerra di genocidio e la distruzione subita dal nostro popolo palestinese a Gaza per opera dell’apparato militare israeliano, senza alcun rispetto per i principi della legge», ha detto il presidente palestinese. Una dichiarazione che fa eco a quella delle Nazioni Unite in cui si esprime sdegno per la condizione dei civili nell’enclave: a Gaza, “un’intera popolazione è assediata e sotto attacco, le viene negato l’accesso all’essenziale per la sopravvivenza, viene bombardata nelle proprie case, nei rifugi, negli ospedali e nei luoghi di culto. Questo è inaccettabile”. Nonostante ciò, il portavoce delle IDF, Hagari, ieri ha confermato che il divieto di introdurre carburante nella Striscia rimarrà in vigore. Proprio per l’assenza di carburante, le strutture sanitarie dell’enclave palestinese non possono operare. Mancano anche acqua, cibo e beni di prima necessità e lo stesso segretario di Stato americano ha ammesso che il flusso attuale di beni di prima necessità è «gravemente insufficiente». Tuttavia, ha escluso una tregua – convinto che avvantaggerebbe Hamas – optando sulle cosiddette “pause umanitarie” per il rilascio degli ostaggi e la consegna degli aiuti. Un’ipotesi che però non ha ancora ricevuto il via libera da parte di Tel Aviv. Dunque, non solo appare improbabile il piano di pace mediato da Blinken, ma anche le pause umanitarie appaiono tutt’altro che scontate. Motivo per cui Netanyahu sta diventando sempre più un problema per la Casa Bianca, divisa tra la necessità di aiutare Israele e quella di non alienarsi il mondo arabo.
[di Giorgia Audiello]
Perché chiamare l’IDF “forze di difesa israeliane” quando si tratta a tutti gli effetti di un esercito di occupazione? Inoltre le autodefinite “forze di difesa” in occasione dell’attacco di Hamas del 7 ottobre per 6 lunghissime ore non hanno difeso nessuno, mentre subito dopo hanno bombardato e sparato sui propri stessi civili cone ammesso dai vertici stessi dell’IDF. Gentile signora Audiello, se fossi in lei utilizzerei con più cautela i termini e le definizioni della propaganda di una delle parti in conflitto. Senza spirito critico un giornalista non può definirsi tale.
Chiamiamo allora anche “forze di liberazione” o “di resistenza” tutte le formazioni armate di palestinesi, compresi i civili che si difendono attaccando con anche solo una fionda tra le mani. Sarebbe più coerente. Mi corregga se sbaglio.
IDF è un acronimo che sta per “Israel Defence Forces” quindi la definizione tradotta è per l’appunto “forze di difesa israeliane”. Che poi siano state poco di difesa e molto di occupazione non cambia il nome con cui sono ufficialmente chiamate.
Yankee go home!
Palestinians are not another native American for you again to genocide!