Tra poco più di un mese l’Unione Europea vieterà nella vendita agroalimentare l’uso di termini ingannevoli, che si rifanno a nomi di prodotti di un certo Paese, e impedirà l’utilizzo di immagini e combinazioni cromatiche che ricordano Stati terzi e che generano confusione nei consumatori. In concreto, dopo più di due anni di trattative, a partire dal 2024 non dovremmo più sentir parlare dell’inglese Parmesan – imitazione del nostro Parmigiano Reggiano -, di Zottarella, la versione tedesca della mozzarella italiana o di Prosek, il vino croato con un nome piuttosto familiare. Il blocco, stabilito dall’accordo sul Testo Unico per la Qualità trovato dall’Europarlamento, Consiglio Ue e Commissione europea, ci riguarda da vicino, perché dovrebbe quindi porre fine a imitazioni e rimandi di nomi DOP o IGP tipici della nostra penisola, che fino ad oggi hanno favorito la scalata dell’Italian sounding (che potremmo tradurre con “suono italiano”).
Si tratta di quel fenomeno che, nello specifico, prevede che un prodotto non italiano venga venduto con un nome simile all’originale o con richiami visivi che evocano il Paese (una bandiera tricolore o la forma dello stivale) stampati sull’etichetta. Dando così l’impressione a chi compra – soprattutto se di fretta e senza leggere la provenienza – di stare acquistando un articolo nostrano. Secondo Paolo De Castro, economista e politico italiano e membro del Parlamento UE, l’accordo «tutelerà più di quattromila indicazioni geografiche in Europa, di cui 800 italiane». Ma in che modo?
Principalmente applicando due strategie: quella di fornire indicazioni chiare e precise anche per gli ingredienti di ogni singolo prodotto, che dovranno essere corredati da indicazioni geografiche – in sostanza, chi trasforma la materia prima dovrà specificare in etichetta la percentuale di materia propria presente nella merce finale – e quella dell’obbligo di indicare sull’etichetta di DOP e IGP il nome del produttore, in modo tale da tappare quelle «falle del sistema che consentono di sfruttare indebitamente la reputazione delle nostre IG». L’attenzione sarà rivolta anche all’online, su cui allo stesso modo vigerà l’obbligo di segnalare e bloccare tutti i prodotti evocativi di un’indicazione geografica.
Stando ai dati, l’Italia sarà uno dei Paesi che maggiormente usufruirà dei vantaggi derivati dall’applicazione del Testo Unico. Nell’ultimo rapporto del 2023, ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) dice infatti che la filiera agroalimentare italiana “rappresenta uno dei pilastri della competitività del Made in Italy”. Affermazione provata dalla continua crescita delle esportazioni degli ultimi anni, arrivate a +118,3% rispetto al 2010 e che nel 2022 hanno raggiunto il valore record di 60,7 miliardi di euro.
Il nostro Paese è per esempio il primo esportatore nel mondo di polpe e pelati di pomodoro (76,7% sul totale dell’esportazione mondiale), di pasta (48,4%), di castagne sgusciate (32,6%), e di passate e concentrati di pomodoro (24,2% del mercato), e il secondo di vino, di formaggi freschi, kiwi, liquori, mele e nocciole. “Tra i top-10 esportatori agroalimentari europei, l’Italia è al 6° posto per incidenza dell’agroalimentare sul totale dell’esportazione, con una quota del 9,4%”, scrive l’Istituto.
Dall’altra parte però, “considerando esclusivamente i consumatori esteri realmente ingannati dall’azione di marketing”, l’Italian sounding raggiunge un valore complessivo (stimato, perché le informazioni sono frammentate) di 91 miliardi di euro, con un notevole danno alla filiera delle esportazioni agroalimentari.
Infatti negli scaffali esteri i prodotti Made in Italy sono spesso penalizzati da quelli Italian sounding, con cui devono competere. I secondi, infatti, sono generalmente più economici perché non rispecchiano i canoni qualitativi italiani. Dunque la somiglianza con i primi e il prezzo più basso potrebbero facilmente trarre in inganno l’acquirente. Ma oltre al danno che si sostanzia in minori vendite, come spiega ISMEA “è possibile che ci sia anche un deterioramento a livello di immagine“: la percezione estera di eccellenza dei prodotti italiani si potrebbe infatti modificare al ribasso.
[di Gloria Ferrari]
Ma oltre al danno che si sostanzia in minori vendite, come spiega ISMEA “è possibile che ci sia anche un deterioramento a livello di immagine“: la percezione estera di eccellenza dei prodotti italiani si potrebbe infatti modificare al ribasso
Perché? Chi comprava prodotti Italian sounding non contribuiva neanche prima alle vendite di prodotti italiani (piuttosto gonfiava le tasche degli inglesi del Parmesan, dei tedeschi della Zottarella o dei croati del Prosek). Inoltre non mi è chiaro in quale maniera la percezione estera di eccellenza dei prodotti italiani si potrebbe infatti modificare al ribasso..