Più controlli, più frontiere, muri più alti contro i migranti irregolari e maggiori investimenti nell’esternalizzazione delle frontiere e nelle deportazioni. Questa è la linea che si profila da anni in modo sempre più chiaro all’interno delle politiche UE sulla gestione dell’immigrazione. Fino ad arrivare all’attuale punto di svolta: l’esternalizzazione delle richieste di asilo a un Paese terzo. Ieri la premier italiana Giorgia Meloni ha annunciato di aver stretto con il primo ministro albanese un protocollo d’intesa tra Italia e Albania in materia di gestione dei migranti. Il piano del governo è di creare due centri in Albania con giurisdizione italiana dove mettere direttamente le persone salvate in mare e lasciarle lì ad attendere la risposta della propria procedura di asilo, che verrà quindi processata in un Paese Terzo. Ma l’Italia non è il solo Stato Membro ad aver adottato politiche di questo genere.
La notizia arriva infatti pochi giorni dopo un altro annuncio di esternalizzazione delle richieste di asilo. Giovedì 2 ottobre, l’Austria ha firmato un accordo di cooperazione su “migrazioni e sicurezza” con il Regno Unito, dichiarando di voler adottare il piano inglese – anche se non proprio in maniera identica – per la gestione delle domande di asilo, ovvero incaricare un Paese terzo di occuparsene. Vienna, inoltre, si impegna per fare pressione sull’Europa affinché adotti politiche analoghe. «La Gran Bretagna ha molta esperienza sul fronte di una futura gestione delle richieste di asilo fuori dall’Europa. È stato un tema importante del mio incontro con la ministra degli Interni a Vienna perché l’Austria può trarre beneficio da questa esperienza. Continueremo a fare uno sforzo coerente perché la Commissione europea porti avanti e autorizzi tali procedure fuori dall’Europa», ha dichiarato Karner, il ministro degli Interni austriaco.
Lo schema britannico prevedeva di trasferire 140 milioni di sterline all’anno al Ruanda per accogliere i richiedenti asilo arrivati sul suolo inglese e gestire da lì le loro pratiche. Il biglietto per gli immigrati irregolari era di sola andata verso lo Stato africano dato che, se anche la richiesta di asilo fosse stata approvata, secondo l’accordo i profughi sarebbero rimasti comunque in Ruanda. L’Austria, invece, dopo aver deportato i richiedenti asilo nel Paese africano, si impegnerebbe a riportarli in Austria nel caso in cui la loro domanda di asilo venisse poi accettata. In caso venisse respinta, sia il programma inglese che quello austriaco prevedono la deportazione dei migranti nel loro Paese di origine. Il piano inglese per ora è sospeso, in attesa di un parere della Corte Suprema sulla sua legittimità, che dovrebbe arrivare entro la fine anno. La Corte aveva infatti bloccato le procedure di espulsione in quanto il Ruanda non era stato considerato un Paese sicuro, per il rischio di deportazioni verso i Paesi d’origine. Il governo ha contestato la sentenza: se vincesse il ricorso, i primi voli verso il Ruanda inizierebbero a febbraio del 2024.
Anche la Danimarca aveva annunciato di voler collaborare con il Ruanda per gestire allo stesso modo i migranti sul suo territorio, ma la proposta si è arenata dopo le ultime elezioni nel Paese. L’Austria – nonostante le sue richieste di asilo siano diminuite del 40% quest’anno – sembra determinata a seguire questa nuova forma di controllo, anche se ancora non è chiaro se sia legalmente possibile. Un portavoce della Commissione UE ha infatti dichiarato ieri ai giornalisti a Bruxelles che «attualmente il diritto d’asilo dell’UE si applica solo alle domande presentate sul territorio di uno Stato membro, ma non al di fuori di esso».
Proprio per vincere la questione legale, sia l’Austria che il Regno Unito stanno spingendo altri Paesi europei a rinnovare gli accordi internazionali sui diritti, tra cui la Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati e la Convenzione europea sui diritti umani. «Il problema della migrazione in Europa potrebbe far cadere i governi», ha sottolineato sabato il Ministro degli Esteri austriaco Alexander Schallenberg. Forse, per questo motivo, molti Stati europei sarebbero disposti a derogare i diritti umani, e perfino a cambiare la Convenzione dell’ONU sui rifugiati.
A seguito di un incontro a Copenaghen, poi, i ministri di Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia e Islanda hanno concordato una più stretta collaborazione tra i cinque Paesi per quanto riguarda l’espulsione dei richiedenti asilo respinti e di altri stranieri senza permesso di soggiorno. Condividiamo «interessi comuni», ha dichiarato martedì (31 ottobre) il ministro danese dell’Immigrazione e dell’Integrazione Kaare Dybvad Bek.
I ministri hanno concordato tre iniziative, incentrate sul “rafforzamento dei progetti di reintegrazione nei Paesi d’origine”, sull’effettuazione di voli di espulsione congiunti in collaborazione con l’agenzia di frontiera dell’UE Frontex e sulla “fornitura di assistenza ai migranti irregolari bloccati in Nord Africa, che desiderano tornare volontariamente nei loro Paesi”, si legge in un comunicato stampa pubblicato martedì.
[di Monica Cillerai]
L’unico interesse comune degli Europei è sviluppare l’Africa per un’educazione scientifica capillare con mille Università capaci di dare lauree e corsi di studio parificati a gestione comune.
Si sta meglio a confinare con scienziati che con banditi nel senso specifico di questa parola.