Stellantis continua imperterrita nell’opera di smantellamento di quel poco che rimane della sua produzione in Italia. Nelle scorse settimane, la holding multinazionale nata dalla fusione tra i gruppi Fiat Chrysler Automobiles e PSA ha infatti spedito una mail a 15mila dipendenti italiani – circa un terzo di quelli che sono ancora operativi nella Penisola – proponendo loro, qualora fossero interessati a lasciare l’azienda per seguire “nuovi progetti professionali o personali”, l’uscita volontaria. Il tutto al netto di qualsiasi discussione preventiva con istituzioni e sindacati. L’offerta sarebbe già stata accettata da almeno 500 persone, soprattutto tra i dipendenti dello stabilimento di Mirafiori (Torino), ma anche tra quelli di Pomigliano (Napoli). La “stella polare” di Stellantis sembra dunque essere solo una: la delocalizzazione ad ogni costo.
L’incentivo messo sul piatto dalla holding – che rappresenta una seconda puntata dopo un accordo sindacale chiuso ad ottobre, che ha coinvolto circa 2mila dipendenti, in cui sono stati rivisti gli incentivi per future uscite volontarie – verrebbe calibrato in maniera diversa a seconda dei singoli lavoratori a cui è indirizzato, in base a una “clausola di sicurezza” riferita all’anzianità e all’età. I lavoratori hanno la possibilità di accettare o rifiutare entro il 31 dicembre 2023. All’offerta, che oltre agli incentivi citati prevede una “indennità di mancato preavviso”, si aggiungono “le ulteriori competenze di fine rapporto” e il “diritto alla Naspi”. L’ipotesi che nelle prossime settimane ad aderire saranno in molti è estremamente concreta, specie perché Stellantis arriva a proporre, a seconda dei casi, anche fino a 160 mila euro. Eppure, nel pieno dell’azione strategica del gruppo, solo tre giorni fa il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha dichiarato che il governo sta per chiudere l’atteso accordo con la holding per il rilancio delle produzioni automobilistiche in Italia. «Siamo in prossimità della firma del protocollo», ha detto Urso in un messaggio inviato al ForumAutomotive, parlando di «un documento che definisce la roadmap non solo della principale azienda produttrice nel nostro Paese, ma anche del riposizionamento della nostra filiera». Il ministro ha annunciato che i tavoli di lavoro cui prenderanno parte sindacati e rappresentanti delle Regioni interessate «si apriranno già nel corso di quest’anno», consentendo «di meglio orientare le agevolazioni previste dal Fondo Automotive per la domanda e per l’offerta». Eufemisticamente, si può affermare con serenità che più di qualcosa non torna. Intanto i sindacati, che protestano per non essere stati avvertiti, promettono battaglia: tra gli altri, USB ha immediatamente inviato una richiesta di incontro urgente ai Ministri Urso e Calderone e un’altra alla nona commissione del Senato, per l’industria ed il commercio al fine di potersi esprimere sulla vicenda in un’audizione specifica.
Significativo è ricordare l’entità degli aiuti ottenuti dalla Fiat da parte dello Stato italiano negli ultimi decenni. Dal 1975 ad oggi, sommando tutte le voci (tra cui cassa integrazione per i dipendenti, prepensionamenti, rottamazioni, costruzione di stabilimenti), essi ammontano all’enorme somma di 220 miliardi di euro. Al contempo, però, i numeri degli occupati di Stellantis in Italia sono da anni in caduta libera. A Mirafiori, dove oggi lavorano circa 10mila dipendenti, in quattro anni si è verificato un calo occupazionale del 26,7%. Se nel 2008 lo stabilimento di Pomigliano contava circa 5.200 persone, oggi, dopo un quindicennio di ammortizzatori sociali, supera di poco i 4mila. Restando in Campania, a Pratola Serra, dove vengono assemblati motori termici modulari per tutti i veicoli commerciali dei brand del gruppo fabbricati nel Meridione, nell’arco di 18 anni il numero di dipendenti è calato del 13%. Lo stabilimento di Melfi, in Basilicata, in soli due anni ha perso circa 1.400 lavoratori, portando l’occupazione sotto quota 6 mila.
[di Stefano Baudino]
15000 in Italia, oltre 6000 negli Stati Uniti. Non ho trovato nessun numero di tagli riguardanti la Francia. Questo e’ quello che succede quando le nostre imprese si svendono e si sottomettono ai nazionalisti Francesi.
Se è una scelta VOLONTARI non vedo perchè si divevano interpellare istituzioni e sindacati. In questo Paese con la prospettiva di andare in pensione “80 anni e il giorno dopo muori” è assolutamente normale che dipendenti ultracinquantenni accettino al volo!!
Bell’articolo. Mi è piaciuto che sia stato sottolineato che a fronte di un aiuto continuo ricevuto dalle tasche dei cittadini l’azienda abbia sempre restituito in termini di investimenti effettuati in altri paesi (ora è addirittura una azienda non più italiana), prodotti offerti agli italiani di scarsa qualità e totale disinteresse ai diritti dei lavoratori.
Ma in fondo la capisco, finché ottiene continua a chiedere. Quello che capisco meno è la volontà dei cittadini italiani di determinare una classe dirigente, politica ed economica, che è la vera responsabile di queste vergogne.
Che vergogna, ladri sono e ladri rimarranno. Governo e sindacati muti e piegati al volere dei soldi. Povera Italia