Un opuscolo per indicare alle donne i segnali di un potenziale partner violento. E per spiegare ai «maschietti» quali comportamenti possono essere punibili per legge. Questa la soluzione che il governo propone, all’indomani dell’efferato omicidio di Giulia Cecchettin per mano dell’ex fidanzato, Filippo Turretta. È lo stesso ministro della Giustizia Nordio ad illustrare l’iniziativa, in un’intervista. «Come nella mafia esistono i reati spia, così nei femminicidi ci sono gli atteggiamenti spia: sintomi di un possibile aggravamento di violenza – spiega il ministro – Prepariamo un opuscolo, con una grafica molto comprensibile, da diffondere in scuole, social, posti di lavoro». Un’iniziativa che, ancora una volta, scarica sulle donne la responsabilità di difendersi da un’eventuale aggressione, mentre si limita a ricordare agli uomini che certi atteggiamenti sono puniti dalla legge. Un paradigma che si ripete sempre uguale a sè stesso, senza che sia introdotta nessuna novità sostanziale o di carattere preventivo e senza che, dunque, il sistema venga cambiato di una virgola.
«Ciò che ieri poteva sembrare galanteria, insistenza, messaggi social può essere invece la spia di una futura violenza – spiega il ministro Nordio, nel corso di un’intervista rilasciata al Corriere della Sera – E occorre informare anche i maschietti dei reati prefigurati e dei rischi che si corrono con certi comportamenti perché l’addensamento di questi reati mi fa pensare anche a una sorta di emulazione». L’omicidio di Giulia Cecchettin è stato violento, efferato, molto probabilmente premeditato. Filippo Turetta (il quale, secondo quanto riportato da alcuni giornali, non avrebbe accettato la fine della relazione) l’ha massacrata a calci e pugni, inseguendola quando lei ha cercato di scappare per continuare a picchiarla fino a ucciderla. Probabilmente, ha utilizzato anche un coltello. Una volta uccisa, ha lanciato il suo cadavere da un dirupo ed è scappato. Pochi mesi fa era toccato a Giulia Tramontano: incinta di sette mesi, è stata colpita con 37 coltellate dal fidanzato, Alessandro Impagnatiello, che per mesi aveva cercato di avvelenarla somministrandole di nascosto ingenti quantitativi di topicida. Concetta Marruoco, invece, è stata uccisa lo scorso ottobre dall’ex marito dal quale si stava separando: l’uomo si è accanito su di lei per 39 volte con una mannaia, il culmine di anni di violenze e abusi che la donna aveva anche avuto il coraggio di denunciare. E la lista è lunga.
Sono centocinque le donne uccise nel 2023, una ogni tre giorni. La soluzione offerta dal governo, a fronte di quella che si caratterizza come un’emergenza sociale, è distribuire una sorta di vademecum, che ricordi alle donne quali sono gli atteggiamenti ai quali prestare attenzione e ai «maschietti» che quegli stessi atteggiamenti possono essere prefigurati come reati. L’impressione, ancora una volta (era successo con la proposta di castrazione chimica avanzata dal ministro Salvini all’indomani dei fatti di Caivano, o del divieto di fruizione di materiale pornografico ai minori da parte della ministra Roccella), è che si tratti di una misura improvvisata, con scarsa possibilità di apportare un qualche effetto positivo. Che il governo, tanto quello attuale quanto quelli precedenti, non abbia alcuna idea di come affrontare in maniera organica e sistematica il fenomeno della violenza di genere.
Nonostante le continue riforme del Codice Rosso e i proclama dei politici di qualsivoglia partito, il fenomeno dei femminicidi non accenna a diminuire. E il problema, con tutta probabilità, risiede nell’incapacità di mettere in moto un cambiamento sociale radicale, che non si preoccupi solo di inasprire le pene una volta commesso il reato ma che sia capace di prevenirlo. Il femminicidio è un reato di potere, non di passione, come si tende spesso a suggerire sui mezzi di informazione. È “la massima espressione del potere e del controllo dell’uomo sulla donna, l’estremizzazione di condotte misogine e discriminatorie fondate sulla disuguaglianza di genere”. Un comportamento che nulla ha a che vedere con la natura maschile, ma piuttosto con una certa rappresentazione culturale della mascolinità e della femminilità nella nostra società. Ricordare agli uomini che alcuni comportamenti sono punibili per legge, inasprire le pene contro chi commette i reati, sono le facce di un approccio repressivo che si sta dimostrando inadatto a risolvere il problema. A dimostrarlo sono i numeri. Sono numerosi gli esperti che spiegano come misure quali l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole possa costituire il germe di un cambiamento nella società, perchè volti a educare al rispetto dell’altro, al tema del consenso, dell’inviolabilità del corpo, all’insegnamento di un corretto modo di esprimere le proprie emozioni e al riconoscimento dei comportamenti che costituiscono degli abusi, per potersene proteggere e impedire che vengano messi in atto su altre persone. Eppure, soluzioni di questo genere incontrano ancora, incredibilmente, una certa resistenza.
[di Valeria Casolaro]
Allo stato attuale NON esiste la soluzione, quelle proposte sono già state adottate all’estero e: 1)Educazione Sessuale nelle scuole nei Paesi Nordici esiste da anni e NON ha arginato il problema (vedi “femminicidio paradosso dei Paesi Nordici”) 2)”Educazione alle Relazioni” proposta dal Governo non credo sia molto diversa dal punto 1 quindi NON risolve il problema 3)”Certezza della pena” anche nei Paesi in cui la pena è certa i femminicidi non sono di meno dell’Italia in rapporto alla popolazione femminile 4)”Convenzione di Istanbul” la Svizzera l’ha adottata DA ANNI e il rapporto di femminicidi in rapporto alla popolazione femminile è superiore all’Italia.
La destra in generale e quella fascista italiana in particolare, non conosce altro approccio a qualsiasi problema che non sia la repressione e il manganello, questi hanno il cervello bloccato da più di 50 anni e coì anche i loro elettori che continuano a prestargli il potere per incatenarci tutti ad un paese che ormai non può che essere considerato medievale in tutti i campi.
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