Oltre 200 condanne per un totale di 2.200 anni di carcere e circa 100 assoluzioni. È il devastante bilancio della sentenza di primo grado, pronunciata dai giudici del tribunale di Vibo Valentia, del Maxiprocesso Rinascita-Scott, probabilmente il più importante processo mai tenuto contro un’associazione mafiosa dai tempi del “Maxi” di Falcone e Borsellino. Il processo, istruito dall’ex procuratore di Reggio Calabria Nicola Gratteri, ha colpito potenti elementi della ‘Ndrangheta calabrese, una serie di influenti personaggi delle istituzioni – tra cui le figure politiche di riferimento delle cosche – e vari imprenditori. Tra le condanne di Stato, la più eloquente è quella inflitta a Giancarlo Pittelli, ex parlamentare di Forza Italia, ritenuto dall’accusa un’importante cerniera tra mafia, politica e imprenditoria collusa, per il quale sono stati stabiliti 11 anni di carcere.
Alla sbarra ci sono in tutto 325 persone (438 i capi d’imputazione), mentre in aula sono sfilati 913 testimoni d’accusa e 58 collaboratori di giustizia. Molte sono le cosche mafiose coinvolte nel Maxiprocesso, tra le quali spiccano quelle dei Mancuso e dei Bonavota, che spadroneggiano nella provincia di Vibo Valentia. Ma il grande elemento di novità nel processo, in cui è stato evidenziato l’importante ruolo di collante giocato dalle logge massoniche di Vibo, è la presenza tra gli imputati di ex parlamentari, ex consiglieri regionali, sindaci, uomini dei servizi segreti e delle forze dell’ordine, professionisti e imprenditori. Condannati, fra gli altri, anche il tenente colonnello dei carabinieri Giorgio Naselli (2 anni e 6 mesi), l’avvocato Francesco Stilo (14 anni), l’ex finanziere Michele Marinaro (10 anni e 6 mesi), l’ex appuntato dei carabinieri Antonio Ventura (5 anni e 6 mesi) e l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino (1 anno e 6 mesi), inseriti in un calderone di connivenze e complicità illegali. Gli imputati erano accusati a vario titolo di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, usura, riciclaggio, detenzione illegale di armi ed esplosivo, ricettazione, traffico di influenze illecite, trasferimento fraudolento di valori, rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio, abuso d’ufficio aggravato, traffico di droga.
La figura di maggiore rilievo presente nella lista dei condannati è sicuramente quella dell’avvocato Giancarlo Pittelli, ex senatore e coordinatore di Forza Italia in Calabria, cui sono stati comminati 11 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo la ricostruzione dei pm Pittelli, membro della massoneria, avrebbe infatti favorito il clan dei Mancuso e l’imprenditore Rocco Delfino – condannato a 5 anni di carcere -, costituendo la “la cerniera tra i due mondi” in una “sorta di circolare rapporto ‘a tre’ tra il politico, il professionista e il faccendiere”. I boss calabresi, infatti, lo nominavano loro avvocato “in quanto capace di mettere mano ai processi con le sue ambigue conoscenze e rapporti di ‘amicizia’ con magistrati”. Pittelli sarebbe stato infatti “l’affarista massone dei boss della ‘ndrangheta calabrese”, con cui si interfacciava tramite “circuiti bancari”, “società straniere”, “università” e “le istituzioni tutte”. In una intercettazione entrata nell’inchiesta, Pittelli aveva peraltro fatto direttamente riferimento a Marcello Dell’Utri – ex braccio destro di Silvio Berlusconi e fondatore di Forza Italia, di cui divenne senatore, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa (pena scontata) – affermando che, ai tempi in cui Forza Italia era in fase di formazione, “le prime persone” che vennero da lui contattate “furono i Piromalli della piana di Gioia Tauro”: mafiosi di altissimo calibro “che Pittelli accostava”, per importanza, “a Luigi Mancuso”, inquadrato tra i boss più potenti su scala nazionale e internazionale. Ricordando che si tratta ancora di una sentenza di primo grado, dopo Dell’Utri (7 anni), Nicola Cosentino (10 anni) e Antonino D’Alì (6 anni), con la condanna di Pittelli si arricchisce dunque il novero degli ex forzisti illustri condannati per concorso esterno in associazione mafiosa.
«Finché indaghi su nomi e cognomi noti della ‘Ndrangheta tutti ti dicono che sei bravo, che hai coraggio. Ma se vai a toccare i centri di potere oliati che si interfacciano con la ‘Ndrangheta e la massoneria deviata allora diventi scomodo. E cominci a dare fastidio». Con queste parole, in un’intervista rilasciata nel corso del dibattimento, il procuratore Nicola Gratteri aveva spiegato la portata del Maxiprocesso “Rinascita Scott”. Secondo il magistrato, la ‘Ndrangheta, «organizzazione solida al suo interno e credibile all’esterno», ha fatto «il salto più importante» nelle relazioni «con la società civile, col potere, con il mondo delle professioni» al fine di far crescere il proprio «capitale sociale»: infatti, «se prima le relazioni esterne col mondo delle professioni e del potere massonico deviato erano viste come una condizione patologica del sistema mafioso, adesso sono diventate una componente fisiologica». Gratteri ha aggiunto che ‘Ndrangheta e massoneria interagiscono «in una logica di mutuo soccorso, in una perfetta sinergia si toccano, si parlano e fanno affari per interessi», aiutandosi a vicenda e mettendo a disposizione il proprio «know how», la loro «rete di rapporti» e «i propri strumenti, che si completano». In attesa di leggere le motivazioni della sentenza, ad oggi possiamo dire che il verdetto di primo grado del Maxiprocesso gli ha dato ragione.
[di Stefano Baudino]