Sette anni di carcere per aver provato a raccontare la guerra in un modo diverso da come lo impone il regime. È la condanna assegnata il 16 novembre ad Aleksandra “Sasha” Skochilenko, giovane artista, musicista e attivista russa, finita dietro le sbarre con la colpa di «aver diffuso consapevolmente false informazioni sulle forze armate della Federazione Russa», sostituendo a marzo del 2022 cinque etichette di prezzo di prodotti in vendita in un supermercato di San Pietroburgo con foglietti che invitavano gli acquirenti a fermare la guerra in Ucraina e a non credere alla propaganda in tv.
This young Russian artist Sasha Skochilenko was just arrested in Saint-Petersburg. She changed price tags in supermarkets and put there antiwar appeals.
Now she can be put into jail for 10 years. pic.twitter.com/tI6kV3NBtp
— Andrey Zakharov (@skazal_on) April 13, 2022
Prima la segnalazione, fatta da un cliente del negozio, poi l’arresto, avvenuto l’11 aprile, a cui segue un interrogatorio serrato, che si protrae fino alle 3.00 del mattino successivo. Alla fine il buio, quello della sua cella, da cui “Sasha” non uscirà più: qui subisce ripetutamente molestie e pressioni, senza la possibilità di incontrare Sonia, la sua compagna, iscritta nel registro dei testimoni. Mesi lunghi che affliggono la sua salute fisica e mentale dell’attivista. Nessun sostegno psicologico per il suo disturbo bipolare e di depressione, niente cibo senza glutine, anche se per via della sua celiachia ne avrebbe estremamente bisogno.
«Putin ci mente dagli schermi televisivi da 20 anni: il risultato di queste bugie è la nostra disponibilità a giustificare la guerra e le morti insensate», si legge su uno dei pezzi di carta, giudicati dagli inquirenti pericolosi per i russi e la sicurezza dell’intero Stato. Un’insinuazione che secondo Skochilenko dimostra la debolezza di un sistema sorretto solo da prepotenza, dissenso e disinformazione: «Quanto fragile deve essere la fiducia del pubblico ministero nel nostro Stato e nella nostra società, se pensa che il nostro Governo e la nostra sicurezza pubblica possano essere compromesse da cinque piccoli pezzi di carta?» ha commentato dal tribunale. Probabilmente molto, visto che con le sue sole uniche armi – l’arte e la musica – Aleksandra è riuscita a mettere in guardia l’intera propaganda.
Ma non è la sola. Sono oltre 20 mila gli attivisti contro la guerra, in Russia, vittime della repressione governativa inaspritasi dopo l’inizio dell’operazione militare in Ucraina. A denunciarlo è un lungo e dettagliato rapporto di Amnesty International – che a differenza di altre organizzazioni per i diritti umani, spesso smaccatamente filoamericane, ha una storia equilibrata e imparziale – che riporta come Mosca stia mettendo in atto una “gamma complessa ed estesa di tattiche” volte a silenziare i pacifisti. Più di 2.300 i dissidenti in detenzione amministrativa, senza contare i licenziamenti e le intimidazioni diffuse, insieme all’uso arbitrario dell’accusa di “agente straniero” verso gli oppositori, una censura sempre più capillare anche nel mondo dell’arte, quello a cui appartiene Skochilenko.
Meccanismi attraverso cui gli antimilitaristi finiscono nella rete della repressione, per via di “nuove e assurde leggi che criminalizzano chi esprime liberamente le proprie opinioni”, mentre “il difettoso sistema penale, caratterizzato da processi profondamente ingiusti, è stato utilizzato per comminare pene detentive e multe salate per mettere a tacere i critici in risposta al minimo dissenso”. Alcuni attivisti sono stati infatti incarcerati solamente per aver pronunciato frasi contro la guerra: è il caso di Vladimir Rumyantsev, di Vologda (nella Russia settentrionale), che dovrà scontare tre anni di prigione per aver condiviso notizie provenienti da media indipendenti sull’invasione dell’Ucraina.
Paese, quest’ultimo, dove la situazione non è molto migliore rispetto a quella russa. Recentemente è infatti stata approvata una legge, fortemente voluta dal Presidente Zelensky, che amplia notevolmente la forza del governo sui mezzi di informazione e che, secondo diversi critici, mette a serio rischio la libertà di stampa. I poteri del Consiglio nazionale per la radiotelevisione (i cui membri sono nominati direttamente dal Presidente e dal Parlamento), sono infatti stati ‘gonfiati’, permettendo agli organi di vietare temporaneamente l’attività dei mezzi di informazione in rete, chiedere ai fornitori di Internet di bloccare l’accesso a determinate pagine o siti senza dover passare da un tribunale e regolamentare l’attività degli operatori televisivi, tanto in rete che via cavo.
Nell’aprile dell’anno scorso, inoltre, poco dopo lo scoppio della guerra, un blogger era stato arrestato per aver diffuso contenuti giudicati dalle autorità “anti-patriottici”, rischiando fino a 15 anni di carcere. Sorte sfiorata anche dal pacifista ucraino Yurii Sheliazhenko, costretto agli arresti domiciliari con ritiro del passaporto, obbligo di reperibilità e firma fino all’11 ottobre, con l’accusa di “giustificare la guerra di aggressione russa”.
E chissà ancora di quanti casi simili non abbiamo invece alcuna notizia.
[di Gloria Ferrari]
Perché andare tanto lontano? Ce l’abbiamo in casa la repressione del dissenso, e noi non siamo neanche in guerra!
Almeno ufficialmente…