Si terrà oggi 5 dicembre l’udienza per l’estradizione di Gabriele Marchesi, ventitreenne antifascista milanese accusato dalla magistratura ungherese di aggressione e lesioni ai danni di alcuni neonazisti. Sono quasi venti gli antifascisti europei ricercati per i fatti di quella giornata, e due le persone che si trovano in prigione da ormai 10 mesi tra cui Ilaria, anche lei milanese che ha denunciato nei giorni scorsi condizioni detentive pesantissime. La storia inizia l’anno scorso, il 10 febbraio, a Budapest, alla vigilia del Tag Der Ehre, il cosiddetto “giorno dell’onore”. Un evento in cui si commemorano i soldati nazisti che nel 1945 tentarono di rompere l’assedio dell’Armata Rossa e morirono in battaglia. Centinaia di neonazisti provenienti da ogni parte d’Europa si ritrovano nella capitale magiara ogni anno per omaggiarne la storia; l’anno scorso però, l’evento é stato segnato anche da scontri con antifascisti, anch’essi giunti da tutto il continente.
Ilaria Salis é detenuta nelle prigioni ungheresi da quei giorni, sospettata di aver preso parte a un’ aggressione contro un esponente di estrema destra le cui feriti lievi furono risolte in pochi giorni di prognosi. Tuttavia i giudici le contestano le aggravanti di aver potuto pregiudicare la vita della vittima e di aver commesso il fatto all’interno di “un’organizzazione criminale”, per questo la 39enne milanese rischia fino a 16 anni di carcere. Secondo la magistratura magiara infatti esisterebbe una vera e propria organizzazione antifascista fondata a Lipsia nel 2017, la “HammerBand”, guidata dalla 28enne Lina Engel e dal compagno Johann Guntermann, che avrebbe scelto Budapest per «attaccare e assaltare militanti fascisti o di ideologia nazista». Sarebbero tre i raid avvenuti il 10 febbraio contro tre esponenti dell’estrema destra durante i quali le vittime avrebbero riportato, secondo l’avvocato di Ilaria e Gabriele, «lesioni minime certificate in 8 giorni e in 5 giorni di prognosi», per cui sono ricercati quasi venti militanti antifascisti europei. Nonostante venga riconosciuta la non appartenenza di Ilaria alla presunta organizzazione si suppone che fosse comunque a conoscenza della sua esistenza, e le é stato proposto un patteggiamento a 11 anni di prigione.
Le condizioni nelle galere magiare sono terribili, e Ilaria denuncia una situazione da incubo: giornate di «23 ore su 24 in cella completamente chiusa», in spazi ristrettissimi, «inferiore a 3,5 metri quadrati» – parametro minimo indicato dalla Corte di Strasburgo -, all’interno di una sezione mista. Cimici, scarafaggi e topi non danno tregua. Denuncia anche malnutrizione e abusi da parte delle forze di polizia, raccontando di alcune pratiche simili alla tortura: durante i trasferimenti per le udienze ai detenuti viene messo «un cinturone di cuoio con una fibbia a cui legano le manette; anche i piedi sono legati tra loro», con «un’ulteriore manetta a un solo polso a cui è fissato un guinzaglio di cuoio», tenuto all’altra estremità da un agente di scorta. Si parla anche di reclusi costretti a lavorare a tempo pieno in carcere per 50 euro al mese, e di mancate retribuzioni per i detenuti stranieri. Nella lettera di diciotto pagine scritta ai propri legali sottolinea anche come durante l’unico interrogatorio é stata umiliata pubblicamente, costretta «a indossare vestiti sporchi, malconci e puzzolenti» inclusa la biancheria intima che é stata obbligata a tenere per «circa 5 settimane», ossia finché il consolato italiano é stato autorizzato a consegnarle il primo pacco. La donna é stata spostata di cella 21 volte dal suo arrivo. «Per più di sei mesi non ho potuto comunicare con la mia famiglia», continua la 39enne, che dichiara di essere stata interrogata «senza difensore e interprete». Non può nemmeno ricevere né mandare lettere. Il processo inizierà il 29 gennaio, con costi legali e di traduzione – tra l’altro – molto alti.
Ora, anche Gabriele rischia di finire dietro le sbarre ungheresi. Quattordici MAE, i mandati di arresto europeo sono stati emessi contro di lui e altri “militanti” europei per un maxi-processo agli antifascisti che l’Ungheria sembra determinata a portare avanti con accuse gravissime nonostante i fatti di lieve entità. L’accusa che arriva dal paese di Orban contro Marchesi é molto generica, e nel verbale d’identificazione redatto della Corte d’Appello di Milano si legge che gli inquirenti ungheresi non hanno identificato «espressamente la materialità dell’apporto dato» da Marchesi «a ciascuna azione criminosa». Per un’accusa del genere (lesioni personali) il cui processo di solito inizia dopo la presentazione di una denuncia che sembra non esistere, normalmente non si viene estradati né arrestati. Sembra evidente che il tribunale ungherese voglia dare un duro esempio repressivo contro l’antifascismo europeo.
Sarà la Quinta sezione penale della Corte d’Appello di Milano a decidere sull’estradizione del 23enne arrestato qualche giorno fa e che ora si trova ai domiciliari dopo un periodo trascorso a San Vittore. La lettera scritta da Ilaria é stata depositata dai legali e punta a dimostrare che il regime carcerario in Ungheria é incompatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta trattamenti inumani e degradanti, per i quali l’Ungheria è già stata condannata nel 2015 (come anche l’Italia nel 2013). Oggi sotto il tribunale gli amici e i compagni di Gabriele hanno organizzato un presidio per opporsi alla sua estradizione.
[di Monica Cillerai]
Mi viene il voltastomaco pensare che la giustizia italiana possa consegnare un ragazzo in attesa di giudizio a una giustizia ungherese che non perseguita apertamente il fascismo e il nazismo (anzi o tollera e lo alimenta), mentre perseguita e umilia con maltrattamenti una donna italiana antifascista nelle loro carceri.
Ci stiamo dimenticando forse che i nostri figli e figlie sono stati educati all’antifascismo e per questo hanno il diritto di manifestarlo sia in Italia che all’estero?
Se l’Italia non è più antifascista e non protegge i suoi figli da questa giustizia ungherese pro-fascista che vuole solo fare delle condanne esemplari per dare l’esempio, che lo dicano apertamente così sappiamo come comportarci.
Sui fatti che si sono verificati in Ungheri, sarà difficile avere una verità unica e le versioni ufficiali sono sempre di parte, per cui i giudici italiani e la Farnesina dovrebbero pensare non a inviare nelle carceri ungheresi i nostri figli, ma a portali a casa e a ricevere un’adeguata difesa e poter denunciare a loro volta le violenze subite.
Cioe’ lItalia dovrebbe consegnare propri cittadini a uno stato straniero? Un minimo di dignità sarebbe almeno necessaria!