I Casamonica sono, a tutti gli effetti, un clan mafioso. È quanto definitivamente sancito dalla Corte di Cassazione, che lo scorso 24 novembre ha chiuso il processo scaturito dall’operazione “Noi proteggiamo Roma”, che vide l’arresto di 20 elementi del gruppo. La Suprema Corte ha dunque confermato appieno la ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia romana, che aveva contestato ai membri del clan, poi finiti alla sbarra, il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis). La sentenza, di portata storica, arriva mentre è in corso il Maxiprocesso ai Casamonica che compongono il clan di Porta Furba. 44 gli imputati, che devono rispondere di una lunghissima serie di reati, tra cui associazione mafiosa dedita al traffico e allo spaccio di droga, estorsione, usura e detenzione illegale di armi. Anche in questo caso, sia in primo grado che in appello i giudici hanno confermato l’impianto accusatorio, riconoscendo il 416-bis e comminando ingenti condanne.
Nello specifico, la Cassazione ha confermato l’accusa di mafia per quattro esponenti del clan, come già attestato dalle sentenze di primo e secondo, nel quadro di un processo con rito abbreviato: si tratta di Guerrino Casamonica detto Pelè, condannato a 10 anni e 2 mesi di carcere, Cristian Casamonica (8 anni), Sonia Casamonica (7 anni) e Daniele Pace (6 anni). L’operazione “Noi proteggiamo Roma” è andata in scena il 16 giugno 2020, mentre da 5 mesi era già in corso il “Maxi” ai Casamonica. Su ordine della DDA, la polizia eseguì 20 misure cautelari (15 in carcere e 5 ai domiciliari) a carico di uomini e donne della famiglia, ritenuti responsabili di “aver preso parte all’associazione mafiosa denominata ‘clan Casamonica’, in particolare all’articolazione territoriale operante nella zona Romanina-Anagnina-Morena della città di Roma”, con l’obiettivo di controllare egemonicamente il territorio “anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe”, puntando al conseguimento di “vantaggi patrimoniali dalle attività economiche che si svolgono nel territorio attraverso o la partecipazione alle stesse” e l’acquisizione diretta o indiretta della gestione e del controllo di “attività economiche in diversi settori” e “dei reati fine di estorsione, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria e intestazione fittizia di beni” attraverso “la riscossione di somme di denaro a titolo di compendio estorsivo”. Tutti reati aggravati dall’art. 416-bis. Parallelamente, al clan furono sequestrati beni patrimoniali per un totale di 20 milioni di euro grazie a una misura di prevenzione irrogata dal giudice dopo una proposta congiunta del questore e del procuratore della capitale. Dall’operazione è sfociato l’omonimo processo, nella cui cornice alcuni fra gli imputati si sono avvalsi del rito abbreviato. Confermando le accuse, i giudici di primo grado avevano stabilito che il clan dei Casamonica è “un sodalizio che esercita il suo predominio sfruttando la fama criminale conquistata negli anni dall’intera rete familiare, ottenendo – grazie alla condizione di assoggettamento e di intimidazione della popolazione – prestazioni contrattuali non retribuite, servizi e pratiche non consentite e, in generale, trattamenti di favore”. Tale ricostruzione era stata confermata anche dai giudici di appello. Ora il marchio definitivo della Cassazione.
La Suprema Corte sarà chiamata anche a chiudere il Maxiprocesso ai Casamonica di Porta Furba, il più importante procedimento penale che abbia investito il clan, che in primo e secondo grado è stato colpito da severissime condanne. A tal fine, sono risultati fondamentali i contributi dei collaboratori di giustizia sfilati in aula, l’ex componente del clan Debora Cerreoni e l’ex ‘ndranghetista Massimiliano Fazzari, nonché i numerosi riscontri provenienti dalle intercettazioni. In primo grado, stabilendo per la prima volta che i Casamonica costituiscono un clan mafioso, i giudici avevano inferto in totale 44 condanne per oltre 400 anni di carcere. Confermando tale ricostruzione anche nella sentenza di secondo grado, i giudici di appello hanno sancito che il gruppo criminale Casamonica, operante nella zona Appio-Tuscolana della Capitale, con base operativa in vicolo di Porta Furba, “è organizzato in una galassia, ossia aggregato malavitoso costituito da due gruppi familiari dediti ad usura, estorsioni, abusivo esercizio del credito, nonché a traffico di stupefacenti, dotato di un indiscusso prestigio criminale nel panorama delinquenziale romano, i cui singoli operavano tuttavia in costante interconnessione e proteggendosi vicendevolmente, così da aumentare il senso di assoggettamento e impotenza delle vittime, consapevoli di essere al cospetto di un gruppo molto coeso ed esteso”.
[di Stefano Baudino]