Dal presupposto che la COP28 non porterà mai a soluzioni concrete alla crisi climatica, in Colombia, è iniziata la Earth Social Conference, una sorta di controconferenza di protesta che, comunque, potrebbe avere dei risvolti interessanti. «Chiediamo a tutti i ‘realisti’ del clima di rifiutare il loro invito alla COP28 e di unirsi a noi per la prima Earth Social Conference a dicembre», così oltre 50 organizzazioni ambientaliste e per i diritti umani di tutto il mondo hanno invitato a partecipare alla loro conferenza sociale sul clima e chiesto di boicottare il contestato vertice di Dubai. L’obiettivo è quindi una conferenza alternativa, che sia però anche di più ampio respiro dato che verranno trattati temi come il conflitto in Medio Oriente e le nuove forme di colonizzazione. L’evento sta avendo luogo nella zona di Casanare e durerà fino al 10 dicembre.
La maggior parte di chi ha organizzato o parteciperà alla conferenza sociale in Colombia aveva già preso parte alle precedenti conferenze sul clima, protestando o nelle sezioni dedicate alla società civile. Tuttavia, quest’anno si è deciso di fare un passo in più, soprattutto, considerando i numerosi lati oscuri del vertice di Dubai. In generale, che il vertice delle Nazioni Unite sul clima fosse una farsa si era intuito già da un po’, ciononostante risultava difficile credere che si potesse fare ancora peggio. Quest’anno, invece, le contraddizioni e i potenziali conflitti di interesse sono stati persino messi alla luce del sole, in bella vista, davanti agli occhi di tutti. Il risultato è che, per farla breve, le decisioni che dovrebbero risolvere la crisi climatica sono state messe in mano a chi l’ha causata. La 28esima Conferenza delle Parti sul clima (COP28), sta avendo infatti luogo negli Emirati Arabi Uniti ed è presieduta dal capo del colosso petrolifero della nazione. Il sultano Ahmed Al Jaber, amministratore delegato della Abu Dhabi national oil company (ADNOC), avrà il compito di definire l’agenda della principale conferenza internazionale sulle questione climatiche, rivestendo un ruolo centrale nei negoziati finalizzati a raggiungere, in teoria, un consenso su punti come la riduzione delle emissioni di CO2 e l’abbandono progressivo dei combustibili fossili.
Di recente, lo scetticismo del presidente della COP28 ha persino fatto capolino ad una delle sessioni del vertice. Il sultano Al Jaber avrebbe infatti affermato che «nessuna scienza ha indicato che è necessaria l’eliminazione graduale dei combustibili fossili per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C», aggiungendo poi che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili non consentirebbe lo sviluppo sostenibile «a meno che non si voglia riportare il mondo nelle caverne». Eppure, sono stati proprio gli stessi scienziati delle Nazioni Uniti a dire quanto Al Jaber fatica a riconoscere. Tra l’altro, a smentire il sultano vi era già stato lo stesso Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres. «La scienza è chiara – ha dichiarato Guterres in fase di apertura della COP28 – il limite di 1,5°C è possibile solo se alla fine smetteremo di bruciare tutti i combustibili fossili. Non ridurli, non abbatterli. Un’eliminazione graduale, con un calendario chiaro». Non dovrebbe quindi sorprendere che qualcuno si stia dando da fare per dar vita ad un’alternativa che sia veramente focalizzata sulle azioni concrete da intraprendere per contrastare e mitigare i cambiamenti climatici.
Ad esempio, tra le varie proposte al vaglio, la conferenza sociale ha messo sul piatto una sorta di ‘patrimoniale climatica’ da applicare sulla base del principio ‘più inquini, più paghi’. Non a caso, sono ormai numerosi i dati che confermano quanto le responsabilità nell’aumento delle emissioni di gas climalteranti siano da ricondurre perlopiù ai paesi più ricchi del globo e, in particolare, ad una ristretta minoranza di super-ricchi. Basti pensare che, secondo le valutazioni più recenti, l’1% più ricco del mondo inquina quanto i 2/3 dell’intera popolazione mondiale e il 10% più ricco della popolazione del globo è responsabile della metà delle emissioni globali. In pratica un individuo appartenente al 1% più ricco, in un solo anno, inquina quanto una persona del restante 99% in 1.500 anni. «Senza pretesa di rappresentare una panacea – ha commentato Mikhail Maslennikov, esperto di giustizia fiscale dell’organizzazione per l’uguaglianza OXFAM – un’imposta progressiva sui grandi patrimoni può generare risorse considerevoli per la decarbonizzazione dell’economia e per affrontare al contempo i crescenti bisogni sociali quali salute, istruzione, contrasto all’esclusione sociale, che stentano a trovare oggi una risposta adeguata».
[di Simone Valeri]