Con un comunicato durissimo, l’associazione dei familiari delle vittime della strage di Via dei Georgofili – attentato avvenuto a Firenze il 27 maggio 1993 ed eseguito da Cosa Nostra come tassello della campagna stragista del biennio ’92-’94, che provocò 5 morti– ha reagito alle motivazioni con cui la Corte di Cassazione ha chiuso il processo sulla “Trattativa Stato-mafia”, assolvendo gli uomini dello Stato che erano finiti alla sbarra, ovvero gli allora vertici del Ros dei Carabinieri Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno e l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri. Senza mezzi termini, l’associazione ha definito “antigiuridica per violazione di legge”, “manifestamente illogica”, “totalmente mancante di motivazione sui punti determinanti” e “immorale” la decisione della Suprema Corte. Quest’ultima, dopo una sentenza di primo grado caratterizzata da ingenti condanne e una di appello che aveva assolto i Ros “perché il fatto non costituisce reato”, ha chiuso il processo assolvendo i membri dello Stato “per non aver commesso il fatto” e prescrivendo i vertici mafiosi imputati con loro per “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”, dopo aver derubricato il reato in “minaccia tentata”. I familiari delle vittime della strage di Firenze ricordano non solo che la “Trattativa” è stata confermata da moltissime sentenze, ma anche che pronunce da anni definitive hanno attestato che fu proprio l’invito al dialogo lanciato dal Ros a Cosa Nostra il “precedente fattuale causale” delle stragi del ’93.
I familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili definiscono “antigiuridica” la pronuncia degli ermellini poiché, mentre “per costante e assoluto insegnamento della Cassazione questa è solo giudice di legittimità”, tale sentenza “è entrata pesantemente nel fatto-reato dicendo che per lei non c’è reato consumato ma solo tentato” e non rinviando “per nuovo esame” ad altra sezione di Corte di Appello di Palermo, ma annullando senza rinvio la sentenza di secondo grado. La decisione è poi ritenuta “manifestamente illogica” quando si scrive che la “interlocuzione Ros-vertici mafia” – mediata dall’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino – non ha avuto nessuna conseguenza, “omettendo totalmente di valutare la vicenda del ‘papello‘ (insieme di richieste mosse allo Stato dall’allora capo di Cosa Nostra Totò Riina in cambio della fine delle violenze, ndr) e di tutti i testimoni e collaboratori di giustizia che hanno affermato che questa ‘interlocuzione’ ha rafforzato la volontà stragista di Riina e sodali”, come “attestato e confermato” da varie sentenze. Ed effettivamente, per averne contezza, basta leggere la pronuncia di appello, poi passata in giudicato, al processo “Tagliavia” sulla strage di Firenze (2016), in cui i giudici hanno considerato provato che, in seguito alla prima fase della trattativa, che si arenò dopo la strage di via D’Amelio, “la strategia stragista proseguì alimentata dalla convinzione che lo Stato avrebbe compreso la natura dell’obiettivo del ricatto proprio perché vi era stata quella interruzione”. Già nel 1998, i giudici della Corte d’Assise di Firenze che si esprimevano sulla strage di via dei Georgofili avevano scritto che l’effetto che la trattativa ebbe sui capi mafiosi “fu quello di convincerli, definitivamente, che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione”.
Nelle sue motivazioni, al processo “Trattativa” la Cassazione ha sancito che “l’interlocuzione promossa da Mori e da De Donno con Ciancimino” era “volta a comprendere le condizioni per la cessazione degli omicidi e delle stragi da parte di Cosa Nostra e la ricerca dell’apertura di un dialogo, sia pure con una spietata organizzazione criminale, non può assumere la valenza obiettiva, sulla base di un inammissibile automatismo probatorio, di una istigazione a minacciare lo Stato”, pur ricordando che quella del Ros fu “molto di più che una spregiudicata iniziativa di polizia giudiziaria, assumendo piuttosto la connotazione di un’operazione di intelligence”. Secondo la Suprema Corte, insomma “l’apertura dell’interlocuzione con i vertici di Cosa Nostra” non può “essere considerata quale forma di rafforzamento dell’altrui proposito criminoso, in quanto ha solo creato l’occasione nella quale ha trovato realizzazione l’autonomo intento ricattatorio dei vertici di Cosa Nostra”.
L’associazione dei parenti delle vittime della strage di Firenze, però, non ci sta e alza il tiro della critica affermando che la sentenza sia “antigiuridica, illogica e immorale” ove viene scritto che “’la mera interlocuzione tra i vertici ROS e vertici mafia non è penalmente punibile”, poiché la Corte ometterebbe di valutare come Mario Mori sia “un ufficiale di P.G. che deve operare sotto la direzione e autorizzazione del Pubblico Ministero, e che poi ha sempre l’obbligo di redigere il rapporto di P.G. al giudice”, tutte “attività legali e obbligatorie omesse da Mori”. I familiari delle vittime fiorentine giudicano inoltre “totalmente falso” quanto attestato dalla sentenza quando dice che il Ros “si è limitato ad ascoltare”. Infatti, afferma l’associazione, “fu il Ros a cercare Ciancimino e a chiedere cosa volevano in cambio di cessare le stragi” e “fu lo stesso Mori” a parlare di “trattativa”. Chiudendo la nota, l’associazione ricorda come “74 Giudici Penali nel corso di 24 anni hanno accertato e statuito in sentenze penali” che la Trattativa Ros-mafia “è un fatto storico certo e indiscutibile”, denunciando che, a loro avviso, la pronuncia della Cassazione costituisca “una sentenza solamente ‘politica’, emessa in nome della ragion di Stato, che non scalfisce la verità storica di quanto avvenuto”.
Sull’esistenza e i deleteri effetti della trattativa Stato-mafia si erano già soffermati, in un comunicato congiunto uscito il giorno successivo alla pubblicazione del verdetto della Suprema Corte, i parenti delle vittime di mafia Salvatore Borsellino, Roberta Gatani, Paola Caccia, Angela Manca e Stefano Mormile, che avevano ricordato come “la trattativa tra esponenti apicali del Ros dei Carabinieri e soggetti appartenenti alla mafia corleonese (Vito Ciancimino)” sia stata ammessa in aula “dagli stessi autori, oggi santificati, Mori e De Donno” e che la Cassazione “ha ‘soltanto’ stabilito che le azioni portate avanti con quella trattativa non integravano il reato ex. art. 338, ‘minaccia a corpo politico dello Stato’”. “No, non chiederemo scusa a quegli imputati – hanno aggiunto gli autori della nota – ma, certamente, non finiremo mai di ringraziare Nino Di Matteo e gli altri pm del pool di Palermo, che non hanno avuto paura di indagare alcune tra le persone più potenti d’Italia, incuranti delle prevedibili, e puntualmente avvenute, ritorsioni di certa stampa e di certa politica”.
[di Stefano Baudino]
All’epoca dello sbarco Usa in Sicilia nell’accordo tra il governo Usa e la mafia con l’intercessione di Lucky Luciano, c’era una clausola “segreta” secondo la quale alla mafia sarebbe stata garantita l’impunita’ da parte dello stato italiano. La durata dell’impunita’ pare che non fu stabilita. Il fatto pero’ che la mafia risulti regolarmente indenne dalle sue malefatte, lascerebbe pensare che il problema e’ forse piu’ a monte.