A Bruxelles è stato raggiunto un nuovo accordo che va a riformare la dibattuta Energy Performance of Buildings Directive, nota in Italia col nome di Direttiva case green. Il compromesso si colloca sulla scia delle discussioni tenutesi questo ottobre e conferma l’abbandono del criterio delle classi energetiche sui singoli edifici presente nella direttiva di marzo, preferendogli un approccio basato sulla media sull’intero patrimonio edilizio dei singoli Stati. In molti si sono dichiarati soddisfatti del punto di congiunzione trovato perché visto come risolutivo per la questione dell’inquinamento proveniente dagli edifici, che risulta essere uno dei più impattanti nella sfera dell’energia, tanto da ricoprire un terzo delle emissioni dell’UE derivate dall’utilizzo di energia, e da adoperare il 42% dell’energia consumata. Eppure, nonostante l’obiettivo di azzerare le emissioni del parco edilizio entro il 2050 sia rimasto indiscusso, tanti definiscono quello di giovedì un vero e proprio accordo al ribasso, siglato per le pressioni dei singoli Stati, tra cui certamente troviamo l’Italia in prima fila, mentre d’altra parte continuano a non mancare le voci critiche che giudicano troppo esoso anche l’accordo attuale.
Il nuovo accordo prevede che ogni Stato membro adotti la sua personale strategia per ridurre le emissioni degli edifici residenziali del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Ogni Stato può decidere di operare come e sugli edifici che vuole, ma almeno il 55% della diminuzione della media dell’utilizzo dell’energia primaria deve essere raggiunto attraverso il rinnovamento degli edifici peggio performanti. L’accordo di giovedì, inoltre, posticipa di due anni la data entro cui i nuovi edifici residenziali dovranno iniziare a essere costruiti in ottica zero emissioni, fissandola al 2030 contro il precedente 2028. Posticipato anche l’obbligo di rinnovamento delle caldaie, con il rinvio della messa al bando dei boiler alimentati da combustibili fossili dal 2035 al 2040. Dal 2025, inoltre, non si potrà più finanziare l’installazione di caldaie autonome ad alimentazione fossile. L’approccio della media sull’intero parco edilizio si applicherà anche agli edifici non residenziali. Per quanto riguarda questi, l’obiettivo è quello di ristrutturare almeno il 16% degli edifici con le peggiori prestazioni entro il 2030 fino ad arrivare al 26% entro il 2033. Anche per essi è stata posticipata di due anni la data dopo la quale i nuovi edifici dovranno essere a emissione zero, passando dal 2026 al 2028. Questi dovranno essere tutti dotati di pannelli solari, che, per quanto concerne gli edifici già costruiti, dovranno iniziare a essere installati a partire dal 2027.
L’accordo è stato accolto con calore dalle parti, ma non si può negare che le nuove proposte nella Direttiva case verdi siano, come già ampiamente discusso, una versione ben più calmierata del precedente accordo. Il motivo per cui la Commissione Europea è dovuta scendere a patti con le richieste dei Paesi dell’Unione è che essi denunciavano gli alti costi che simili direttive avrebbero comportato tanto per le loro casse, quanto per i portafogli dei cittadini. È dopo tutto indubbia la forte sfumatura politica di cui si è colorato il tema nei mesi passati, venendo spesso accompagnata da dichiarazioni allarmanti, raffiguranti scenari disastrosi. È certamente vero che i costi della transizione energetica sono poderosi, ma al tempo va sottolineato come le deroghe che caratterizzavano lo scorso accordo fossero parecchie e comprendevano anche le seconde case abitate per meno di quattro mesi, le case popolari e gli edifici storici. Inoltre, la Commissione Europea prevedeva che la priorità fosse data ai soggetti vulnerabili e alle abitazioni meno performanti, che avrebbero dovuto essere aiutati dagli Stati. Per far fronte alle misure proposte questo marzo, l’ANCE ha pubblicato una proposta incentrata sul superbonus accompagnato da un dettagliato studio sui costi che il Paese avrebbe dovuto sostenere. Questi erano ingenti, ma ben lungi dallo scenario apocalittico dipinto dalla politica. Con il nuovo accordo tanti edifici sono stati riconsiderati o esclusi dalla discussione, il dibattutissimo tema delle caldaie è stato rinviato, ed è stata data maggiore libertà di azione ai singoli Paesi; si può insomma ben sperare che i prezzi siano accessibili a tutti, se i governi nazionali decideranno di agire in questa direzione.
[di Dario Lucisano]
Sono ormai 40 anni che mi interesso della questione energetica e so bene che negli studi sulla transizione energetica, la rete di distribuzione del gas, presente in tutte le società avanzate, ha sempre rappresentato un punto di forza, un punto solido, da utilizzare per sostenere detta transizione. Infatti nella rete del gas può fluire anziché gas naturale, una miscela di biogas + idrogeno, fino ad una percentuale di quest’ultimo del 30%, senza dover fare modifiche particolari. Un tale progetto fu messo in atto diffusamente in nord Europa ed un piccolo progetto pilota in Puglia, per impiegare l’energia eolica (trasformata in idrogeno), nei momenti in cui la rete non è in grado di riceverla.
Da uno studio che feci una decina di anni fa, risultò che, dal momento in cui il fabbisogno di energia elettrica fosse ottenuto completamente tramite energia solare, eolica e geotermoelettrica, oltre ovviamente alla idroelettrica, (cosa fattibilissima, basterebbero circa il 2% di superficie da coprire con fotovoltaico, cioè la metà del suolo già coperto da fabbricati (4%)), con un diligente uso della biomassa ( boschiva e scarti agricoli ed alimentari) e sistematica digestione anaerobica dei reflui fognari, si potesse produrre biogas a sufficienza per alimentare le reti attuali di gas miscelato ad idrogeno prodotto da fonti rinnovabili. E’ un progetto a mio avviso tuttora valido, quindi non comprendo la guerra che la Commissione Europea sta facendo alle caldaie a gas che invece nell’ottica precedente sarebbe uno strumento semplice, funzionale ed economico proprio per sostenere la transizione energetica. Infatti gli studi effettuati da università ed altri enti di ricerca specializzati, prevedevano semplicemente la graduale sostituzione del gas naturale con biogas ed idrogeno, pertanto mai avevano previsto l’eliminazione delle caldaie.
Questo aspetto rivela che dietro la tanto sbandierata transizione energetica, in realtà si cela qualcos’altro che ha poco a che fare con la decarbonizzazione.
Ok, ognuno deve fare la sua parte… Però credo che a livello globale l’impronta ambientale dell’Europa sia comunque minoritaria. Qualcuno sa come sono messi americani e cinesi? Mi risulta che in Cina sia in costante aumento la richiesta di carbone…
Anche col vestito nuovo questa direttiva puzza di marcio