Il processo “Cucchi-Ter”, che in primo grado aveva partorito otto condanne per una serie di depistaggi commessi da membri dell’Arma dei Carabinieri sulla vicenda di Stefano Cucchi – geometra romano morto a 31 anni, il 22 ottobre 2009, in seguito a un violento pestaggio mentre si trovava in custodia cautelare – si avvia verso la prescrizione. Sono infatti passati ben venti mesi dalla sentenza di tribunale che ha punito i componenti delle Forze dell’ordine per aver sviato le indagini, ma il processo di appello non è ancora stato fissato. Considerando il combinato disposto tra il tempo trascorso e la tipologia dei reati commessi dagli imputati – che, secondo le statuizioni dei giudici, sono stati consumati in un arco temporale che va dal 2009 al 2015 -, la strada è ormai segnata. A meno che gli uomini alla sbarra non decidano di rinunciarvi, rischiando un’altra condanna.
Nonostante la sollecitazione dell’avvocato Stefano Maccioni, legale di Giovanni Cucchi – padre di Stefano -, che ha inviato un’istanza formale circa un mese fa (a cui non è stata data alcuna risposta), ad oggi i giudici di secondo grado non hanno ancora fissato la data di udienza del processo di appello. Il tutto avviene in seguito a un’inchiesta condotta con la massima celerità e a una sentenza di primo grado arrivata in tempo utile grazie al grande lavoro dei giudici, che sono riusciti ad allineare fino a tre udienze settimanali. Gli otto militari dell’Arma finiti alla sbarra sono accusati, a vario titolo, di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. A subire la pena più cospicua, ovvero 5 anni di carcere, era stato il generale (allora Comandante Provinciale) Alessandro Casarsa, il quale, secondo il tribunale, diede l’ordine di falsificare l’annotazione relativa alla notte dell’arresto di Stefano Cucchi. Nella sentenza di primo grado, che aveva sancito come “la versione ufficiale dell’Arma dei Carabinieri sulla morte di Stefano Cucchi” fosse “stata ‘confezionata’ escludendo ogni possibile coinvolgimento dei militari così che l’immagine e la carriera dei vertici territoriali e, in particolare, del comandante del Gruppo Roma, Alessandro Casarsa, non fosse minata”, era stato scritto che “tutti gli imputati avevano la consapevolezza che, attraverso le condotte da ciascuno posta in essere, si giungeva alla modifica e all’alterazione del contenuto delle annotazioni, consentendo cosi di rappresentare uno Stefano Cucchi che stava male di suo, perché molto magro, tossicodipendente, epilettico”. Il tribunale ha affermato che “l’ampia istruttoria dibattimentale” ha consentito di “accertare un’attività di sviamento posta in essere nell’immediatezza della morte di Stefano Cucchi”, ma che poi venne alimentata nel 2015, quando la finalità del depistaggio divenne quella di celare i falsi risalenti al 2009, che oltre a Casarsa coinvolgevano il suo braccio destro, il tenente Francesco Cavallo, che in quella fase era in servizio presso il Comando Provinciale di Roma, contiguo all’ufficio del Comandante del Reparto Operativo, Colonnello Lorenzo Sabatino. L’obiettivo era, inoltre, quello di “svilire la credibilità di Riccardo Casamassima”, teste chiave per l’ipotesi accusatoria.
Stefano Cucchi fu fermato con in tasca 21 grammi di hashish il 15 ottobre 2009. Solo una settimana dopo, il 22 ottobre, il giovane morì all’ospedale Sandro Pertini, con il corpo martoriato da quella che, con tutta evidenza, è stata una violenta scarica di botte. In seguito ad anni di silenzi e depistaggi, si è potuto celebrare un processo che ha visto imputati i membri delle forze dell’ordine che si macchiarono del delitto. Il 4 aprile 2022, si è arrivati alla sentenza definitiva che ha condannato a 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele d’Alessandro, mentre per i loro complici Roberto Mandolini e Francesco Tedesco è stato disposto un nuovo processo. Dopo essere stati condannati a 3 anni e 6 mesi e 2 anni e 4 mesi dalla Corte d’Assise d’appello di Roma nel luglio del 2022, poiché giudicati come colpevoli della falsificazione del verbale di arresto di Cucchi, ad ottobre la Cassazione ha dichiarato anche per loro la prescrizione.
[Stefano Baudino]
Si vergogni la magistratura, non è così che si tutela l’integrità dell’Arma.
Tristezza provo tanta tristezza.
Queste sono le istituzioni che dovrebbero farci sentire più sicuri.