Nevischio e freddo di un pomeriggio già pienamente invernale, proprio come l’otto dicembre di diciotto anni fa, nel giorno della liberazione di Venaus. Anche allora partimmo da Susa. Decine e decine di migliaia di persone arrivate di buon mattino, raggruppate nel piazzale della stazione e tante bandiere NO TAV.
Oggi il concentramento è nel piazzale dell’ex Assa: come di tradizione c’è il gazebo con la polenta, ci sono i banchetti con magliette e bandiere. Ad un tavolo si raccolgono firme per la legge di iniziativa popolare contro gli omicidi sul lavoro.
La manifestazione tarda a muoversi: è arrivata la notizia che il treno previsto da Torino Porta Nuova e diretto a Susa è stato soppresso: al binario le centinaia di manifestanti diretti in Valle sono stati bloccati da un cordone di agenti in assetto antisommossa che hanno messo immediatamente in azione i manganelli. Alcuni giovani sono finiti in ospedale, gli altri hanno potuto partire solo dopo ore.
Infine ci si mette in cammino. Sfilano gli striscioni, sventolano le bandiere. Dal furgone che apre il corteo si susseguono interventi e musica. Si entra brevemente in Susa, lungo le vie dei negozi: addobbi di Natale, vetrine splendenti di luci e merci, qualcuno affacciato a guardare il corteo, qualche serranda abbassata. Ma è sulla via per Venaus, quella che sale tra pareti di roccia e grandi alberi, che il presente si mescola al passato…
Oggi tante voci, tanti volti giovani, slogan e canzoni, ondate di musica: è una fiumana determinata ma gioiosa quella che scorre nel pomeriggio grigio e nevoso, sotto la mezza luce della sera che si annuncia precoce. Nella mattina innevata di quasi vent’anni fa la marcia che, lasciata Susa, procedeva verso il bivio dei passeggeri era silenziosa: niente bambini, solo volti aggrondati, la rabbia sorda di una valle che due giorni prima aveva subito l’aggressione di un esercito di poliziotti in armi.
Bruciava il ricordo del campeggio NO TAV devastato, dei presidianti manganellati, delle bandiere NO TAV esibite dai manganellatori come trofeo di guerra. Contro il sopruso avevamo occupato l’autostrada, davanti alla stazione di Bussoleno era comparsa un’improvvisa barricata, l’indignazione popolare aveva prevalso sull’esortazione alla calma predicata in assemblea dagli amministratori comunali. Niente musiche in apertura del corteo, solo il container che doveva sostituire la casetta del presidio fatta a pezzi dalle ruspe poliziesche.
Ricordo ed è come se la moviola del tempo si riavvolgesse, rivedo i volti, risento in cuore l’indignazione di allora, il senso del sopruso subito che si fa volontà comune di riprendersi il maltolto, ad ogni costo. Al bivio dei passeggeri ancora manganellate. Mentre i sindaci cercano di trattare, i manifestanti prendono la via dei boschi, i sentieri che scendono su Venaus, si affollano intorno al cantiere messo in piedi in tempo di record. Sotto migliaia di passi cadono le reti, la folla si riappropria degli spazi che per due mesi furono per noi casa, luogo d’incontri, giorni e notti di veglia e di progetti, meta di chi veniva da lontano, fuochi accesi e grandi marmitte di minestrone condivise, la meraviglia di sentirsi popolo resistente, collettività rinata nella lotta….
Cammino e improvvisamente passa la stanchezza dell’età che comincia a pesare. Intorno a me resistono ancora i compagni di sempre, ma, soprattutto, risplendono i volti di ragazze e ragazzi, tanti, coraggiosamente sereni, consapevoli che, senza lotta, non potrà esserci futuro. Sono loro i nuovi partigiani di un altro mondo possibile. La Resistenza di questa Valle che l’ otto dicembre di ottant’anni fa, tra i boschi della Garda sopra San Giorio, diede vita ad una delle prime formazioni partigiane rinasce nello sguardo sincero e generoso di queste giovani donne e uomini.
È ormai notte quando la manifestazione arriva a Venaus, alla casetta illuminata del presidio. Il buio ha invaso i prati dormienti sotto la neve, il silenzio dei boschi. Ai gazebo si distribuiscono panettone e vin brulé.
Mentre riprendo la via del ritorno, mi arrivano le voci degli interventi di chiusura, gli ultimi slogan “I popoli in rivolta scrivono la storia, NO TAV fino alla vittoria”…
[di Nicoletta Dosio – Oltre ad essere da sempre attiva in numerose lotte
sociali e politiche sul territorio piemontese, Nicoletta Dosio è uno dei volti storici del Movimento No TAV. Condannata ai domiciliari per aver partecipato a una manifestazione pacifica del Movimento, ma rifiutandosi di sottostarvi e divenire così “carceriera di sé stessa”, Nicoletta è stata imputata di almeno 130 evasioni, che le sono valse la condanna a oltre un anno di carcere presso il penitenziario di Torino]