martedì 1 Aprile 2025

Le nuove vette della disinformazione di regime nella guerra in Palestina

«Carmen, per amore della nostra professione, ti devi scusare! Dillo e chiudiamo la cosa». Quante volte negli ultimi tre anni abbiamo assistito al tentativo di “catechizzare” i dissidenti? Lo schema è sempre il medesimo: dopo aver denigrato, umiliato e processato mediaticamente il malcapitato, accusandolo di ogni possibile nefandezza, si richiede l’abiura dal pensiero critico e un atto di contrizione: questi deve rinnegare il virus mentale dell’eresia, vergognarsi di essersi macchiato di psicoreato, pentirsi e chiedere pubblicamente scusa. Sono molti i giornalisti, gli intellettuali e gli artisti che, dalla pandemia a oggi, sono stati costretti a fare ammenda per aver esposto un pensiero divergente o solo vagamente critico rispetto alla narrazione dominante.

Le fallacie per intimidire l’avversario

[Carmen Lasorella, giornalista.]
Lunedì 29 ottobre si è tentato di applicare questo schema alla giornalista Carmen Lasorella, ospite del programma Stasera Italia, condotto da Augusto Minzolini. Lo psicoreato commesso da Lasorella è aver messo in discussione la veridicità della narrazione della presunta decapitazione dei 40 bambini israeliani da parte di Hamas: i suoi dubbi sulla fondatezza della notizia, suffragati da numerosi media internazionali, hanno innescato l’ira dell’ex ambasciatore israeliano Dror Eydan, che l’ha accusata di essere una «negazionista dell’Olocausto». La giornalista è stata poi ripresa, con toni paternalistici, dal collega Maurizio Molinari che ha provato, facendo leva sul senso di colpa, a metterla in difficoltà, chiedendole ufficialmente di sconfessare la sua posizione sulla vicenda dei bambini decapitati. Senza mai scomporsi, Lasorella ha risposto con fermezza, resistendo ai colpi bassi con cui hanno cercato di metterla immotivatamente all’angolo. In pochi minuti di talk show, sono state adottate le tecniche classiche per cercare di vincere un dibattito, ossia, le cosiddette fallacie logiche: in particolare, la fallacia ad hominem (obiettare alle argomentazioni di qualcuno senza rispondergli nel merito ma attaccandolo personalmente, con lo scopo di indebolire la sua posizione), ad misericordiam (fa leva sul senso di colpa dell’interlocutore), ad baculum (la fallacia del bastone fa ricorso alla paura, alla minaccia e all’intimidazione).

Rieducare i dissidenti

All’indomani dell’attacco a sorpresa di Hamas, i mezzi di informazione italiani si sono uniti non solo nel biasimarne la violenza, ma persino nel ribaltare la realtà e abbracciare una narrazione orwelliana, in cui gli oppressori storici sono diventati gli oppressi indifesi da sostenere a ogni costo e Israele è stata descritta come la democrazia perfetta che combatte contro i “terroristi islamisti”. Le istituzioni e i media occidentali hanno riproposto con toni isterici il boicottaggio e la censura delle voci divergenti, mettendo in scena i soliti luoghi comuni e il consueto registro emotivo, volti a imporre una narrazione manichea, falsificando le origini delle ostilità per approvare la vendetta di Israele, riproponendo
persino la minaccia del terrorismo in Europa.

A suffragare il fanatismo dei professionisti dell’informazione sono corsi in aiuto i mastini dell’Inquisizione digitale. Nessuno è immune alla furia dei novelli Torquemada, né le icone mainstream come Patrick Zaki, scaricato brutalmente per il suo sostegno alla causa palestinese, né Moni Ovadia, costretto a dimettersi dall’Abbado di Ferrara (per aver osato dire: «La responsabilità di tutto quello che è accaduto ricade sul governo israeliano. Hanno lasciato marcire la situazione»), tantomeno l’ex ambasciatrice Elena Basile, vittima della consueta macchina del fango, con cui si è cercato di screditare il suo curriculum: non avrebbe i titoli per farsi chiamare ambasciatrice, essendo solo ministra plenipotenziaria…

Dal framing alle liste di proscrizione

[La lista dei “filo-Hamas” in Italia stilata da Gianni Riotta.]
Il boicottaggio dei moderni eretici si associa alla tecnica del framing: si crea un fermo immagine, per inserire colui che si vuole attaccare in una cornice denigratoria, magari dicendo che è un complottista, un estremista, un negazionista o un ciarlatano. Così, chi viene incasellato in una determinata categoria verrà considerato a priori un cospirazionista o un estremista (a seconda del frame) e qualunque cosa dica verrà ignorato o percepito come mera farneticazione, senza prendere in esame il contenuto delle sue argomentazioni. Come se non bastasse, negli ultimi anni si è utilizzato anche uno strumento millenario di boicottaggio del dissenso, per intimidire la critica, anche quella solo potenziale, della narrativa mainstream: le liste di proscrizione. Il dramma è che questa pratica maccartista ha avuto ampia risonanza sui grandi gruppi editoriali, sempre più infastiditi dal fatto di star perdendo influenza rispetto alle nuove fonti di cultura e informazione indipendente e, dunque, pronti a ogni più vigliacca character assassination. Dall’“identikit dei putiniani d’Italia” stilato da Gianni Riotta, dalle colonne de La Repubblica, siamo così arrivati alla lista dei “filo-Hamas”.

Disinformazione e propaganda mainstream

La vicenda israelo-palestinese è paradigmatica di come l’informazione dei media di massa – in particolare quella italiana – continui ad avallare qualunque notizia provenga da fonte israeliana, senza nemmeno ponderarla (lo abbiamo visto con la notizia della presunta decapitazione dei bambini e con il bombardamento dell’ospedale di Gaza City, in cui si era deciso a monte di chi fosse la responsabilità): spariscono i virgolettati, si usano gli indicativi per suffragare con certezza ricostruzioni false o infondate, si pesa, addirittura, il numero dei morti a seconda della provenienza e delle alleanze internazionali. Come era già successo con l’Operazione speciale, l’informazione finisce cannibalizzata dalla propaganda, generando anche diverse forme di schizofrenia. Un esempio su tutti: quando Mosca non aveva rinnovato l’accordo sul grano, si era biasimato il “ricatto” di Putin, evocando scenari apocalittici, mentre molti media hanno ignorato, o addirittura sostenuto col silenzio, la strategia di affamare la Striscia di Gaza, interrompendo le forniture di energia e cibo.

La reductio ad Hitlerum

Nella narrazione del conflitto israelo-palestinese si continua a sventolare lo spauracchio dell’accusa di antisemitismo e a fare leva sui ricordi della Shoah. Proprio l’ex ambasciatore Dror Eydan ha paragonato i palestinesi ai nazisti, invocando senza mezzi termini l’annientamento degli abitanti della Striscia di Gaza: «Per noi c’è uno scopo di distruggere Gaza, distruggere questo male assoluto. Non c’è la possibilità, dopo l’Olocausto, di vivere vicino a questi nazisti». In questo caso, ha utilizzato un’altra fallacia logica, la reductio ad Hitlerum (o reductio ad nazium): coniata negli anni Cinquanta dallo studioso Leo Strauss, che designa, sotto forma di falsa citazione latina, una tattica oratoria mirante a squalificare un interlocutore comparandolo ad Adolf Hitler o al Partito nazista. Questa tecnica è stata usata con disinvoltura anche in passato con tutti i nemici dell’Occidente, da Putin a Saddam Hussein. Se osserviamo le caratteristiche con cui vengono delineati e offerti al pubblico i nemici di turno, possiamo notare uno schema di fondo ripetitivo, e in qualche modo banale, che ricalca l’Emmanuel Goldstein orwelliano. Il nemico di turno si macchierà di efferati delitti, attentati e stragi e su di lui verranno proiettate anche caratteristiche esagerate, grottesche e inverosimili, pur di spingere l’opinione pubblica ad averne paura e a legittimare qualunque mezzo per sopprimerne la minaccia. Proprio come avveniva in 1984, questa tattica apre la porta al bipensiero e a una serie di cortocircuiti. Per esempio, per poter legittimare agli occhi dell’opinione pubblica internazionale gli aiuti alle milizie neonaziste ucraine, si è messo mano a un raffinato processo di edulcorazione e falsificazione della storia, mentre l’ordine di scuderia per i giornalisti è diventato che “il Battaglione Azov non è nazista”.

La disumanizzazione del nemico

[Yoav Gallant, ministro della Difesa israeliano.]
Dal 7 ottobre, la lettura del potere politico-mediatico occidentale si alimenta della retorica della disumanizzazione del nemico, in modo da ridurlo a mera entità biologica, oppure lo si dipinge come un rappresentante del male assoluto. Gli esempi sono molteplici. Vanno in questa direzione le parole di Netanyahu che ha parlato in termini di lotta «del bene sul male» e della «luce sull’oscurità». Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha abbracciato la mostrificazione dell’avversario, ridotto a bestia: «Stiamo combattendo animali umani e ci comporteremo di conseguenza», ha dichiarato. La frase di Gallant è similare alle tecniche usate nel salotto di Stasera Italia per ridurre al silenzio i dissidenti o equiparare gli avversari a mostri o ai nazisti. La fallacia della reductio ad Hitlerum mira proprio a degradare il nemico e a polarizzare l’opinione pubblica: da un lato ci sono i buoni, che sono stati aggrediti – e non contano i crimini del passato – e dall’altra i cattivi, con cui non può valere il dialogo perché hanno perso la loro natura umana e si sono ridotti a subumani. Vanno semplicemente annichiliti, derattizzati. Il paradosso è che si tratta del medesimo linguaggio utilizzato dai nazisti nel secondo conflitto mondiale nei riguardi di ebrei, zingari, slavi, africani, disabili mentali e omosessuali, ecc., chiamati untermenschen, subumani, appunto. Quindi, gli stessi che hanno accusato i palestinesi e Hamas di essere nazisti, utilizzano un linguaggio tipico del Terzo Reich.

E quando non basta la rieducazione, si usa la censura

Quando fallacie, propaganda e fake news non bastano per plasmare l’opinione pubblica si silenziano le voci divergenti e i giornalisti scomodi attraverso la censura. Per imporre il monopolio della narrazione dominante, dal 7 ottobre è scattata la censura sui social network, portando alla cancellazione dei contenuti ritenuti scomodi su Meta e su X. Elon Musk, per esempio, è rimesso seccamente in riga da Thierry Breton, commissario al mercato unico UE, che con una lettera in tipico stile mafioso, ha evocato una censura preventiva su X e ha imposto la rimozione di contenuti ritenuti scomodi, senza però elencare le violazioni – come richiesto dal magnate – in quanto starebbe alla piattaforma social dimostrare di mantenere la parola. Era già accaduto più volte in passato, come ha rimarcato su X il premio Pulitzer Glenn Greenwald: «Esattamente come è accaduto con il COVID, e poi con la guerra in Ucraina, il sistema di censura su più fronti implementato dai governi occidentali è stato nuovamente attivato – ancora una volta a un livello sorprendentemente nuovo – per vietare il dissenso dalla politica dell’UE
nei confronti di Israele/Guerra di Gaza». Insomma, ormai rodate e applicate con disinvoltura in epoche e stagioni diverse, si continuano a usare le medesime tecniche e lo stesso schema, pur di garantire l’infallibilità del Sistema e il consenso delle masse.

[di Enrica Perucchietti]

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10 Commenti

  1. Articolo molto interessante che fa luce in modo chiaro ed efficace sulle “diaboliche” tecniche messe in atto dal potere per condizionare, e stravolgere, l’informazione e colpire i “colpevoli” di opinioni divergenti. Merita ampia diffusione.

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