Mentre gli stili di vita e di consumo sono in rapida evoluzione per effetto del progresso sociale, i comportamenti di mobilità dei cittadini italiani rimangono ancorati ad un’ottica di continuità. È questo lo scenario che emerge dallo studio del 20° Rapporto dell’Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti (ISFORT) sulla mobilità degli italiani – promosso da Cnel e Ministero dei Trasporti -, che registra come la mobilità degli italiani si strutturi “attorno alla forza di resistenza delle abitudini e al radicamento dei meccanismi di scelta”, bypassando spesso “opportunità, servizi, innovazioni potenzialmente in grado di proporre soluzioni alternative, soprattutto nella scelta dei mezzi di trasporto”. Una resistenza che, secondo ISFORT, costituisce la base “delle tante aporie che bloccano l’evoluzione del sistema verso modelli di domanda più equilibrati e sostenibili”. Nel report è stato in particolare esaminato il periodo compreso tra il 2000 e il 2022, ponendo a confronto le statistiche di inizio millennio con quelle più attuali. Presentando molte sorprese.
In particolare, i dati raccolti da ISFORT vanno a confutare il luogo comune secondo cui i processi di crescente articolazione sociale ed economica, spinti dalla “maggiore densità della vita quotidiana” e dalla “moltiplicazione di offerte per il tempo libero, per il lavoro, per i consumi in generale”, abbiano generato nel nuovo millennio un ampliamento della domanda di mobilità dei cittadini. Infatti, sulla base dei dati che emergono dall’Osservatorio “Audimob” di ISFORT, risultano in declino sia il numero di spostamenti effettuati dalla popolazione 14-85 anni nel giorno medio feriale sia il numero di passeggeri*km, ossia il numero di percorrenze. Nel primo caso, si parla infatti di una media di 100 milioni di spostamenti negli ultimi 15 anni (diminuiti di un quarto rispetto ai dati dei primi anni del nuovo millennio); nel secondo caso il numero di passeggeri*km, si attesta oggi attorno ad un flusso di 1-1,2 miliardi/giorno (con una riduzione di poco superiore al 10% rispetto a inizio millennio). A questo proposito, il rapporto evidenzia come il fattore demografico e, nello specifico, l’invecchiamento della popolazione, possa aver esercitato un ruolo non indifferente nell’influenzare il trend di graduale riduzione degli spostamenti.
Lo studio conferma la percezione che, dopo quasi tre anni dallo scoppio della pandemia, sia effettivamente concluso il processo di “ritorno alla normalità” per quanto riguarda il rapporto tra cittadini e mobilità. I dati presenti nel rapporto confermano che la mobilità rappresenti ancora un fenomeno “eminentemente locale, di corto raggio”. Infatti, la maggior parte dei flussi di traffico non si dispiega sulle reti lunghe – treni ad alta velocità, aerei, grandi navi, Tir che coprono lunghe distanze in autostrada –, ma “su scale dimensionali circoscritte, per coprire distanze corte o addirittura ridottissime, con impieghi di tempo relativamente contenuti”. Per averne riprova basta osservare il dato relativo alle percorrenze, che nel 75-80% dei casi si esauriscono entro i 10 km. Occorre comunque distinguere tra prossimità (ovvero la mobilità fino a 2 km), che nel 2022 assorbe circa il 30% della domanda, dal corto raggio (mobilità dai 2 ai 10 km), con oltre il 45% della domanda. I viaggi di media e lunga distanza – quelli che coprono più di 50 km -, invece, hanno sempre avuto un valore residuale, attestandosi attorno al 2,5-3% (con una punta del 3,4% registrata nel 2013).
Tra il 2000 e il 2022, a dominare senza rivali sono stati i mezzi privati motorizzati, che assorbono in media il 70% dei viaggi e l’80% dei passeggeri*km, con percentuali che si consolidano di anno in anno. La quota di domanda assorbita da spostamenti a piedi, in bicicletta e micromobilità oggi si attesta poco sopra il 20%, registrando qualche punto in meno rispetto all’inizio del millennio, con un picco raggiunto nell’anno dello scoppio della pandemia. Anche i mezzi pubblici fanno flop, con il 10% dei viaggi e il 20% dei passeggeri*km. Il report evidenzia, senza mezzi termini, il fallimento “di fatto” delle politiche di mobilità sostenibile degli ultimi 20 anni, registrando come il Tasso di Mobilità Sostenibile – cioè la percentuale degli spostamenti a piedi, bici, micromobilità e mezzi pubblici – si sia ridotto dal 2000 al 2015, crescendo poi fino al picco del 38,2% del 2020, ma sgonfiandosi di nuovo dopo l’uscita dal periodo pandemico. Tale spaccato non è neanche stato eroso dall’impennata, rispetto alla fase pre-pandemia, della pratica dello smart working, che nel 2022 riguarda il 25,8% della popolazione (ma con una percentuale di continuativi scesa dal 24,6% al 6,7%). Sebbene i lavoratori in SW siano maggiormente propensi a effettuare, rispetto agli altri, spostamenti a piedi, in bici e con mezzi pubblici, le differenze nell’uso dei mezzi non risultano comunque significative.
[Stefano Baudino]
Ma se non c’è una lira, dove volete che viaggino le persone, se non per andare a far spesa e ritorno.
XD