La Corte Suprema del Colorado ha emanato una sentenza che esclude Donald Trump dalla corsa alla presidenza con l’accusa di aver violato la terza sezione del quattordicesimo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, accusandolo di essere moralmente inadatto alla presidenza dopo aver fomentato una “insurrezione”, ovvero l’irruzione dei suoi sostenitori al Campidoglio durante la proclamazione della vittoria di Biden alle scorse presidenziali. È la prima volta in cui un candidato viene dichiarato ineleggibile a causa di tale principio, elemento che rende la questione particolarmente delicata e difficile da gestire, politicamente e giudiziariamente. L’applicazione della decisione è sospesa fino al 4 gennaio, il giorno precedente alla scadenza per presentare le schede per le primarie repubblicane, ed è circoscritta al solo Stato del Colorado, ma se confermata avrebbe ovvie e pesanti ripercussioni sulla campagna presidenziale, innescando una reazione a catena e probabilmente spingendo altri tribunali di Stato a emulare la Corte del Colorado. La questione, data l’ovvio ricorso che i legali di Trump presenteranno, finirà verosimilmente dinnanzi ai giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti, che dovrà pronunciarsi sulla legittimità della decisione dei giudici del Colorado.
La sentenza della Corte Suprema del Colorado si rifà a quel principio che vieta di diventare Presidente a chiunque abbia giurato fedeltà alla Costituzione, ma sia coinvolto in insurrezioni contro di essa, condannando Trump per gli avvenimenti di Capitol Hill del 2021. Così facendo, la decisione di ieri rovescia la sentenza emanata dalla Corte Distrettuale di Denver il 17 novembre, nella quale la giudice Sarah B. Wallace dichiarò che le azioni di Trump non costituivano una violazione della terza sezione del quattordicesimo emendamento non perché l’ex Presidente non fosse stato coinvolto nell’insurrezione, ma perché la sezione della Costituzione non ha effetti sul Presidente degli Stati Uniti. È dunque una questione di metodo, e non di merito a essere al centro delle sentenze emanate in Colorado: contenutisticamente parlando, Trump è sempre stato dichiarato reo di avere causato una rivolta durante gli eventi di gennaio 2021, ma non è mai stato condannato perché nella sezione dell’emendamento non viene esplicitato che tale legge si applica anche al Presidente.
Precedentemente, anche i tribunali di Michigan, Minnesota, e New Hampshire si erano espressi sul tema similmente al tribunale di Denver. Nello specifico, a essere oggetto di contenzioso è il riferimento alle persone che hanno prestato giuramento davanti alla Costituzione e che non potrebbero essere coinvolte in situazioni di rivolta: la sezione interessata nega infatti la possibilità di diventare Presidente a coloro che hanno partecipato a insurrezioni dopo aver giurato “come membri del Congresso, o come ufficiali degli Stati Uniti, o come membri di qualsiasi legislatura di Stato, o come ufficiali esecutivi o giuridici di qualsiasi Stato”. Non essendo citata la carica di Presidente nella lista di coloro che non possono candidarsi in caso di inneggiamento alla rivolta, Trump non avrebbe violato la sezione. Secondo l’interpretazione della Corte Suprema del Colorado, tuttavia, il riferimento al Presidente degli Stati Uniti è implicito tra gli “ufficiali” della Repubblica.
La questione insomma gira attorno a un dettaglio di natura strettamente giuridica su cui si sono espresse varie personalità del settore, proponendo visioni divergenti. L’avvocato Mario Nicolais, che ha rappresentato i querelanti ha sostenuto che hanno «un argomento forte» da portare davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti, opinione a cui si è accodato il Professor Rick Hasen dell’Università della California il quale ha giudicato la sentenza come «un’opinione seria e attenta che raggiunge la conclusione ragionevole che Trump è squalificato»; eppure, sottolinea lo stesso Hasen, a causa dell’assenza di precedenti, la decisione della Corte fa emergere numerose «nuove questioni legali». A dichiararsi fermamente contraria è invece la portavoce legale di Save America, Alina Habba, che ha giudicato la sentenza «incostituzionale», ma anche l’ex legale di Trump e nota avvocatessa repubblicana Jenna Ellis che ha espresso solidarietà al suo ex cliente in un post su X.
A proposito di reazioni nel mondo repubblicano, è degno di nota rilevare la forte vicinanza manifestata dai rivali del tycoon. Trump era già stato incriminato una volta per pagamenti in nero elargiti a una pornostar, e un’altra per reati federali, ma mai una decisione della Corte gli aveva negato la corsa alla presidenza. La sentenza della Corte del Colorado arriva a pochi giorni dalla scadenza della consegna delle schede dei candidati alle primarie, eppure i suoi rivali repubblicani non hanno tardato a mostrarsi compatti e far fronte comune con lui. Ron De Santis, uno dei principali rivali dell’imprenditore, parla di «abuso di potere giuridico» da parte della sinistra, mentre Vivek Ramaswamy ha annunciato che si ritirerà dalla corsa per le primarie in Colorado, invitando tutti i candidati a fare lo stesso. Naturalmente, non sono tardate neanche le dichiarazioni dei sostenitori di Trump. Il sito della campagna ha lanciato in un memo firmato da Trump una raccolta fondi contro «i democratici finanziati da Soros», mentre il consigliere politico di Trump Steve Cheung si è espresso duramente contro la decisione del Colorado. In un post su Truth, il tycoon ha inoltre accusato il Dipartimento di Giustizia e lo stesso Biden, che non si ancora espresso sulla questione, di essere dietro ai casi giudiziari che sta affrontando. Ora Trump ha qualche settimana per provare a rovesciare la sentenza di Denver, portando il caso davanti alla Corte Suprema degli USA, nella speranza che nessun altro tribunale si accodi alla decisione del Colorado. Il destino della sua candidatura è incerto, e per quanto possa sembrare strano, lo sono anche le conseguenze sul piano politico: che egli riesca o non riesca a confermare la propria candidatura, la compattezza mostrata dal fronte repubblicano può rafforzarlo, ribaltando quello che sembra un destinato indebolimento della fazione.
[di Dario Lucisano]
Vogliamo scommettere che finirà in nulla? A mio modesto parere si tratta solo di un tentativo di galvanizzare l’elettorato democratico. E poi questo genere di cose cose viene sempre risolto sul piano politico, magari dopo un po’ sceneggiata giuridica.
Beh, non mi sembra così assurdo sostenere, al pari dei giudici del Colorado, che la prima carica USA (tra l’altro comandante supremo delle forze armate) sia un “ufficiale dello Stato” e che in virtù di ciò la norma valga anche per lui.
Onestamente ritengo molto più pretestuosa e “cavillosa” l’interpretazione degli altri tribunali, a cominciare dal primo ad essersi espresso in questo senso, Denver, che esclude il Presidente dal contesto di applicabilità perché non espressamente indicato nella terza sezione della Costituzione.
Cosa sarebbe il Presidente? Un “essere simil-divino” al quale non si applicano le regole valide per un qualsiasi colonnello dell’esercito?
Mah…
Nessun altro al maschile si scrive senza apostrofo.
Ovviamente con la Corte Suprema 6 a 3 per i Repubblicani, è solo una Sentenza con le ore contate:
Biden away whatever it takes!
Se non volete la guerra nucleare, prima della fine del suo prossimo mandato.
Si potrebbe definire un Putsch giudiziario. Ma no, non è possibile. Nelle nostre democrazie è impensabile.