Giovedì 14 dicembre il ministro degli esteri del Togo Robert Dussey e l’omologo nigerino, nominato in seguito al colpo di stato di questo luglio, sono apparsi sulla televisione nazionale di Niamey, annunciando il raggiungimento di un accordo sulle tempistiche di ritorno allo stato civile del Paese. L’annuncio arriva dopo la cacciata degli ambasciatori e delle truppe francesi dal suolo nigerino, e, nonostante le discussioni tra la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (in inglese ECOWAS) e il vertice del golpe Omar Tchiani siano ancora infuocatissime, si configura come un grande passo avanti verso la risoluzione della situazione nigerina. Cionondimeno, l’intesa proclamata non arresta il fluire delle domande che concernono il futuro del Paese, ancora instabile tanto sul fronte interno, quanto su quello esterno. Proprio su quest’ultimo vanno infatti poste parecchie considerazioni, prima fra tutte la sempre maggiore vicinanza da parte di Tchiani alla sfera di influenza della Russia.
La comunicazione della prima intesa arriva in un momento particolarmente caldo per il Niger. In primo luogo perché l’ECOWAS aveva da poco rifiutato la proposta di Tchiani di far durare tre anni la transizione verso lo stato civile, e successivamente perché, giusto qualche giorno prima, la stessa ECOWAS si era riunita ad Abuja per parlare di Niamey. Dopo l’incontro, la Comunità ha rilasciato un comunicato in cui poneva delle condizioni ai golpisti per la riduzione delle sanzioni dirette al Paese, prima fra tutte l’immediato rilascio – sottoscritto dalla Corte di Giustizia – del Presidente deposto Mohamed Bazoum e della sua famiglia, detenuti in casa loro dall’inizio del colpo di Stato. Lo stesso 14 dicembre, l’ECOWAS ha inoltre condiviso su X un annuncio in cui rimarcava e riconosceva la legittimità di Bazoum. Per quanto la piega che la situazione nigerina pare prendere dopo le dichiarazioni di Dussey faccia intravedere una pace, insomma, la situazione nel Paese è ancora tesa.
A complicare la situazione sul fronte interno in questi ultimi mesi ha contribuito la sempre maggiore tensione con la presenza diplomatica e militare francese sul territorio, che Tchiani ha più volte additato come prima delle responsabili dei problemi intestini tanto del Paese quanto dell’intera regione del Sahel. In una lunga intervista, il leader militare ha infatti sostenuto che non si possa spegnere il fuoco con la benzina, e che “per noi l’incendio terroristico prende la sua benzina dal sostegno che la Francia vi apporta”. Tuttavia, allontanarsi dalla Francia significa allontanarsi dall’intero blocco Occidentale. Non a caso la reazione di condanna dell’UE nei confronti dei golpisti è stata subitanea: l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell ha rilasciato infatti il 29 luglio una dichiarazione in cui denunciava le azioni di Tchiani e chiedeva l’immediato rilascio di Bazoum. I rapporti con l’UE si sono poi incrinati definitivamente a inizio dicembre con l’uscita da parte di Tchiani dal programma di scambio militare con l’Unione (EUMPM), anch’essa mal digerita da Borrell.
L’EUMPM era strategicamente vitale per l’Occidente. Effettivamente solo gli USA hanno tardato a rispondere al golpe di luglio, limitandosi a sospendere temporaneamente il finanziamento di programmi di assistenza al governo nigerino, probabilmente per vedere se ci fosse ancora spazio di manovra per mantenere gli alleati in regione. Prima del golpe, il Niger era infatti l’ultimo avamposto della democrazia à la Occidentale della zona del Sahel e il suo supporto era necessario agli USA per la lotta al terrorismo islamico. L’area del Sahel è dopo tutto storicamente fratturata a causa della complicata convivenza tra comunità arabo-semitiche da una parte e popoli neri dall’altra, difficoltà a cui si è aggiunta la lenta e complicata transizione democratica della regione vissuta dallo stesso Niger. Con le instabilità interne si sono formati gruppi jihadisti con l’obiettivo di creare uno stato islamico, che naturalmente sono contrastati dagli USA, i quali hanno riconosciuto solo questo ottobre lo stato di colpo di Stato militare in cui versa attualmente il Niger, arrivando finalmente a una condanna più netta e interrompendo la cooperazione con il paese fino a quando questo non tornerà a uno stato civile.
Vista l’opposizione dell’Occidente, la giunta di Tchiani ha cercato sostegno dentro e fuori il continente africano: a settembre è arrivato l’annuncio della creazione dell’Alleanza degli Stati del Sahel (AES), che riunisce i regimi golpisti di Mali, Burkina Faso e Niger sotto l’insegna della cooperazione militare e la lotta al terrorismo islamico, mentre in fatto di esteri il Niger sembra ormai sempre più vicino alla sfera di influenza di Mosca. A partire dall’appello dei golpisti alla Wagner di questo agosto, lanciato col timore che la minaccia militare dell’ECOWAS – sostenuta dalla Francia – si concretizzasse, per arrivare fino al recente incontro col vice-ministro della difesa russo, la partnership militare che lega Russia e Niger pare essersi consolidata. I rapporti con Mosca sono poi rafforzatisi dopo che il ministro degli esteri Lavrov ha annunciato la creazione di programmi di formazioni di ingegneri in Africa, elemento di notevole importanza se si considera la grande dotazione di risorse di cui è fornito il Niger. Inquadrato in questo scenario, il patto annunciato giovedì può rivelarsi prezioso per il raggiungimento di una stabilità in una regione che sembra sempre più orientata verso uno scenario di guerra totale, ma al tempo stesso rischia di essere ormai troppo tardi perché gli Stati Occidentali riallaccino attivamente i rapporti con il Niger, che nello scacchiere geopolitico sta sempre più collocandosi sotto l’ala protettiva di Mosca.
[di Dario Lucisano]
…”Con le instabilità interne si sono formati gruppi jihadisti con l’obiettivo di creare uno stato islamico, che naturalmente sono contrastati dagli USA.” Mi permetto di far notare che gli USA sono i fondatori dell’estremismo islamico, già dall’epoca dell’Afghanistan, per lottare contro l’URSS. Del resto Hillary Clinton lo dichiaro’ apertamente. Gli Usa creano dei nemici per poi combatterli, secondo proprie ammissioni. All’epoca della fine dell’URSS un alto funzionario della NATO dichiaro’ che si sarebbero trovati altri nemici da combattere. Del resto ottimo articolo con buone informazioni.
Sembra che il fascismo mascherato di democrazia abbia sempre meno appeal nel Mondo, bene e speriamo si sveglino anche gli Italiani.