domenica 22 Dicembre 2024

Il profumo dell’utopia: reportage dalle piantagioni di cannabis in Thailandia

«Non è possibile», dice il mio raziocinio quando la coda dell’occhio scruta qualcosa di inspiegabilmente familiare. «Sarà stato un miraggio» penso fra me e me. Il dubbio però persiste e qualche metro più avanti si ripresenta la stessa e inconfondibile vegetazione. Tiro le manopole dei freni e all’alzare della visiera, l’inequivocabile profumo dei suoi fiori si ficca dritto nelle mie narici. Strizzo gli occhi ancora assonnati e non sono alla Reggia di Versailles: anziché orangerie e parterre de fleurs, davanti a me, a perdita d’occhio, infinite piantagioni di cannabis coprono tutto il mio campo visivo.

L’utopia realizzata

È un giovedì mattina qualunque nella deserta e verde campagna di Chiang Rai, al confine thailandese con Birmania e Laos. Nel villaggio di Ban Pa Sak Ngam, in cui sto pernottando, la vita si accende con lentezza: i fuochi delle casalinghe scaldano le pentole della colazione, galline e quadrupedi invadono le strade annebbiate e le prime marmitte dei lavoratori fuori sede ruggiscono in lontananza. Anch’io, non essendoci alcun tipo di bar o caffetteria nei paraggi, sono costretto a montare in sella nel tentativo di fiutare una qualche ciotola di riso fritto. Finalmente, in lontananza, intravedo del movimento. Niente da fare, è soltanto l’officina di un affollatissimo meccanico impegnato nel rimettere in sesto le ferree vittime dell’asfalto thai. Il mio stomaco brontola metro dopo metro e, con il centro città alle spalle, intorno a me regna solo il silenzio. Spingo sul gas, ma l’obbligata guida a slalom non mi consente di prestare la dovuta cura alla meraviglia in cui sono immerso: l’utopia realizzata di un’Asia antiproibizionista.

Il 9 giugno 2022 difatti, con la pubblicazione sulla Gazzetta Reale della rimozione della pianta dalla lista 5 dei narcotici, la Thailandia è diventato il primo Stato del sudest asiatico a legalizzare la coltivazione, la distribuzione e il consumo di cannabis a scopo medico-ricreativo. E in un Paese dove ora, cime di marijuana spuntano alte tra le colline delle sue vallate come chicchi d’uva nelle langhe piemontesi, solamente qualche decennio fa – dal febbraio 2003 -, c’è stata una sanguinosa e disumana guerra alla droga, con più di 2000 omicidi extragiudiziali, gravi ripercussioni per le minoranze etniche e, la già grave, emergenza del virus HIV, arresti arbitrari da parte delle forze di polizia e liste nere che hanno mosso l’intervento del Comitato dei Diritti Umani dell’ONU.

La piantagione del buonumore

Sarà forse per questo motivo che quando giungo all’entrata dell’azienda agricola, i cancelli spalancati invitano ora i più curiosi ad avvicinarsi senza timore. Parcheggio il motore al fianco del casolare principale, decisamente di nuova fattura e invano, tento un timido saluto in lingua thai che, ahimè, si perde nel vuoto. Al che, mi faccio permesso da solo. Salgo le scale e la vista che si apre dalla terrazza panoramica è qualcosa di stupefacente: con la sua ventina di metri circa, un’indistinguibile foglia a cinque punte spicca con fierezza sull’apice del colle più alto. Non faccio in tempo a realizzare l’accaduto che, dirimpetto al megalite verde, vedo campeggiare la scritta ไร่อารมณ์ดี – in thai, la piantagione del buonumore – in un sfarzosissimo stile hollywoodiano. La paura frutto del periodo repressivo sembra aver ceduto il passo a un forte sentimento di rinascita e orgoglio, sfregiato e condiviso a quanti più occhi possibili.

Nonostante sia attualmente consentito e legale in locali autorizzati – in virtù della riforma del 2022 che volle sostenere l’economia spingendo la cannabis e la canapa come colture da reddito permettendo il loro uso anche in alimenti, moda e cosmetici – non riesco a regalarmi una degustazione di edibili in, quel che ho capito essere, un ristobar cannabico in via d’apertura.

«Nonostante i 400.000 alberi, qui non coltiviamo soltanto marijuana», mi racconta un signore all’ombra fra una pianta di cannabis e un banano. «Io sono l’addetto alla cura e alla crescita di melanzane, carote, cipolle, pomodori ecc. Insomma, dei normalissimi vegetali come, del resto, tutte le piante intorno a noi» continua annaffiando l’orto.

Le sue parole sono tanto semplici quanto frutto di una verità spesso inconsiderata e la sua testimonianza è tanto preziosa quanto incompleta: voglio assolutamente saperne di più. Allo stesso tempo temo di disturbare il personale che, nonostante i larghi cappelli di paglia, sta lavorando sotto il cocente sole dei tropici. «Non aver timore. Prendi la moto e fatti strada» dice ora sorridendo. «La piantagione è aperta a tutti».

La situazione attuale

Così faccio: torno in sella e mi addentro nei vicoli in terra battuta. Intorno a me solo verde, insetti e tanti profumi; ogni tanto anche qualche contadino piegato all’ingiù. Dopo una decina di minuti di guida arrivo all’area dedicata alla coltivazione in serra. «Lavoro qui da 3 anni» mi dice il capoarea. «E come me, in totale, l’azienda dà di che mangiare a 200 persone e rispettive famiglie». Ci spostiamo nella serra adiacente e capisco che ciò che dice è letterale: intenta alla selezione e al travaso di 10 diverse genetiche, una giovane madre imbocca, allo stesso tempo, la colazione alla figliola. «Queste genetiche sono destinate alla vendita in tutto il mondo» continua il caporeparto; «Thailandia e Asia in primis». Incantato, osservo le infiorescenze capovolte ad essiccare e in men che non si dica mi ritrovo le natiche sul sedile passeggeri di un pick-up nero. È colpa dell’animo felice del supervisore, orgoglioso di farmi esplorare l’area sotto la sua gestione. «Nel mio settore ho all’incirca 15.000 alberi» dei quali «ci prendiamo cura dalla germinazione, passando per la fase vegetativa, di fioritura e raccolta, per giungere a prodotti rigorosamente grezzi e pronti alla vendita entro un arco massimo di 6 mesi».

Con la versione del disegno di legge sul controllo della cannabis e della canapa proposta dal Partito Bhumjaithai del precedente governo difatti, è stata consentita – per ogni nucleo familiare – anche l’autoproduzione fino a 15 piante per uso personale medico e la vendita in dispensari autorizzati di “estratti di cannabis” (come hashish, oli e tinture) che non superino il grado percentuale dello 0,2 di THC (tetraidrocannabinolo). Nella realtà dei fatti, essendo solo alcuni i prodotti specifici che, se derivati dalla “raffinazione meccanica” tendono a contenere livelli di THC molto più elevati di quelli presenti naturalmente nella pianta, parti grezze come i fiori – anche se ad alto contenuto di THC – sono tollerate e possono essere acquistate sotto forma di “erba medicinale” nei dispensari sparsi per tutto il suolo monarchico.

(Non) possono rovinare tutto

Ciò che il nuovo governo bensì lamenta, è stata la mancanza di guide mediche fornite ai consumatori verso un utilizzo consapevole delle parti della pianta. “Sembra pertanto, che questa abbia di fatto preceduto la legislazione necessaria per controllare e regolare il suo uso, portando a un conseguente libera-tutti nel settore delle imprese”, scrive Bangkok Post. In parte è vero, ciò però che non si batte sui giornali, spiega il mio cicerone, è il fatto che moltissimi grower già coltivassero illegalmente. Con la legge del 2022 quindi, non si sarebbe fatto altro che regolamentare e tassare mercati già esistenti che, l’Università della Camera di Commercio thailandese quantifica in $1,2 miliardi entro il 2025.

Previsione incerta dal momento in cui l’attuale Ministero della Sanità Pubblica, con il completamento della prima bozza del nuovo Cannabis-Hemp Act, prevede l’inasprimento dei regolamenti sull’uso della cannabis. Il progetto di legge, che comprende circa 70 sezioni, è una modifica alla versione originale del precedente esecutivo. Secondo Pattaya Mail, “questo aggiornamento cerca di affrontare le preoccupazioni del pubblico e chiudere le scappatoie che hanno permesso l’uso ricreativo della cannabis”.

In tal senso, il nuovo governo in carica intende vietare ai – comunemente chiamati – coffee shop la vendita di germogli secchi, di attrezzature inerenti al fumo e la possibilità stessa di fumare in loco. Tutto ciò nonostante il nuovo testo – entro i limiti preesistenti – continui a riconoscere la cannabis come “erba controllata” e non come “narcotico”. «Guardati intorno. Fatti un giro nelle vie principali della capitale, o anche in cittadine turistiche remote: ci sono interi centri che vivono soltanto di questo business», spiega tranquillo il supervisore; «semplicemente non possono rovinare tutto. È impossibile e non lo faranno».

Il Ministro della sanità pubblica Cholnan Srikaew, non sembra essere sulla stessa linea di pensiero: «In passato, non abbiamo controllato l’uso della cannabis, ma con la nuova legge, lo scopo ricreativo sarà proibito». I negozi di cannabis che già sono in possesso di licenza potranno tenere aperti i battenti ma, comunque, dovranno adattarsi alla nuova riforma che ci si aspetta venga emendata dal parlamento e promulgata poi in legge entro la metà del prossimo anno. «Siamo lieti che la cannabis non sarà reinserita nella lista dei narcotici. Ma siamo preoccupati che le limitazioni all’uso medico rappresentino un importante ostacolo per le persone che accedono a cure mediche alternative», ha dichiarato Parnthep Pourpongpan, preside del Collegio di Medicina Orientale dell’Università di Rangsit. «Liquori e sigarette sono pericolosi per la salute, ma possono ancora essere venduti nei negozi, mentre la cannabis è etichettata come il male nonostante i suoi benefici medici per la salute», insiste Daycha Siripatra, sostenitore della cannabis medicinale.

«La vuoi una cima?»

Fino a metà dicembre, è stata prevista l’apertura di una finestra di dialogo consentendo due settimane per i pareri del pubblico prima di finalizzare e presentare al gabinetto il progetto di legge. Tuttavia, nonostante esistano già regolamenti e sanzioni che contengano l’uso sconsiderato della sostanza – quali il divieto di fumo in pubblico e la vendita a persone sotto i 20 anni o a donne in gravidanza, il futuro della cannabis, in Thailandia, non sembra essere dei più verdi. «La vuoi una cima?», chiede il mio Virgilio alla guida del pick-up. Io sorrido ma, presto, il mio pensiero va in conforto a quelle 200 ed altrettante famiglie che, al fianco di prati da pascolo e colture di riso, sono semplicemente colpevoli di zappare la terra del vegetale sbagliato. Se fino a una manciata di mesi orsono il florido esperimento thailandese sembrava un lume di speranza nel mare della proibizione, ora, il Golfo dell’antico Siam, annuncia tempesta.

[di Riccardo Ongaro]

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