È un risveglio inaspettato quello che attende il mondo nella prima mattina del nuovo anno, il 1994. Nella regione del Chiapas, la più povera del Messico, gli zapatisti hanno infatti dichiarato guerra allo Stato e al suo “capo massimo e illegittimo”, Carlos Salinas de Gortari. Sfidando l’esercito federale messicano, i ribelli riferiscono l’intenzione di marciare verso la capitale per liberare la popolazione civile dal “dittatore” Salinas e permettere alle comunità la libera e democratica scelta delle proprie autorità amministrative. L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, formatosi ben dieci anni prima, si rivela così per la prima volta al mondo. E lo fa col supporto di migliaia di indigeni e indigene, che impugnando armi da fuoco, fionde o bastoni, occupano alcuni dei centri maggiori dello Stato, tra i quali San Cristóbal de Las Casas, Ocosingo, Las Margaritas, Comitán e Altamirano.
L’insurrezione non è un atto estemporaneo. Semmai, spiegano gli zapatisti nella prima Declaración de la Selva Lacandona, è il frutto di cinquecento anni di lotta mai interrotta. Contro la schiavitù, contro l’imperialismo delle superpotenze europee, contro l’espansionismo nordamericano. Non a caso, il 1° gennaio 1994 è anche il giorno in cui il Messico entra a far parte del NAFTA, l’Accordo Nordamericano di libero scambio, del quale è già parte il Canada. Il prezzo che la popolazione ha pagato, nel corso dei secoli, per soddisfare la sete di potere dei colonizzatori è altissimo. Terre, risorse, fonti di sostentamento, diritto alla salute, all’educazione, diritto a eleggere democraticamente i propri rappresentanti. La rivoluzione zapatista non ha il volto di qualcuno, non marcia sui palazzi per conquistarne il potere. L’unico intento è rivendicare il diritto all’autogoverno dei popoli e al possesso comune della terra.
Il cessate il fuoco viene proclamato dodici giorni dopo. Sono circa trecento i morti, tra EZLN ed esercito federale messicano. Ma la mobilitazione non si è mai fermata. Il governo di Città del Messico non ha mai concesso alla popolazione indigena del Chiapas l’indipendenza reclamata. Allo stesso tempo, in particolare nell’ultimo decennio, militarizzazione, repressione, violenze, sequestri, omicidi mirati, espropriazione delle terre e rilocalizzazione della popolazione sono proseguiti senza sosta. Nemmeno la presenza di un socialista – seppur moderato e non esente da elementi di critica – come Andrés Manuel López Obrador alla guida del Paese è riuscita a impedire l’oppressione delle popolazioni indigene da parte del potere capitalista, in continua espansione, e del suo braccio armato – l’esercito, ma anche la popolazione locale e i gruppi paramilitari. Anzi, proprio sotto la presidenza di AMLO, l’EZLN ha più volte lanciato l’allarme in merito al rischio che in Chiapas scoppi una guerra civile, per via della crescente militarizzazione del territorio e delle violenze dei gruppi paramilitari, oltre che della ferocia della lotta contro il narcotraffico. Le comunità zapatiste sono i principali obiettivi degli attacchi e dell’attività di spionaggio del ministero della Difesa messicano, come rivelato da una recente massiccia fuga di mail.
Nel 2021, in occasione del 27° anniversario dell’insurrezione, una carovana zapatista si è mossa alla conquista dell’Europa, per ricordare all’Occidente che, nonostante tutto, colonialismo e capitalismo non hanno ancora schiacciato i popoli indigeni. E che l’unico modo per farvi fronte è un’alleanza globale. “Facciamo nostri i dolori della terra: la violenza contro le donne; la persecuzione e il disprezzo verso i diversi nelle identità affettive, emozionali, sessuali; l’annichilimento dell’infanzia; il genocidio contro gli indigeni; il razzismo; il militarismo; lo sfruttamento; l’espropriazione; la distruzione della natura – riporta il comunicato che annuncia l’arrivo degli zapatisti in Europa – Il carnefice è un sistema sfruttatore, patriarcale, piramidale, razzista, ladrone e criminale: il capitalismo. La consapevolezza che non è possibile riformare questo sistema, educarlo, attenuarlo, limarlo, addomesticarlo, umanizzarlo».
Quest’anno, come accadeva anche nel 1994, in Messico si terranno le elezioni presidenziali. La candidata favorita sembra essere Claudia Sheinbaum, del partito dell’attuale presidente AMLO, le cui politiche (che pur hanno permesso la crescita economica del Paese) hanno causato l’aumento delle disparità economiche e sociali, oltre a non tenere minimamente in considerazione le esigenze e le richieste delle popolazioni indigene. I territori delle popolazioni native continuano a essere usurpati per arricchire le multinazionali e permettere la costruzione di mega-infrastrutture di dubbia utilità. Una tra tutte: il Tren Maya, i cui 1500 km di rotaie ad alta velocità, tra disboscamento e alterazione degli ecosistemi, causeranno un impatto ambientale imponente. In un simile contesto, lo Stato del Chiapas si trova in una situazione più delicata del resto del Paese, in particolare per la crescita smisurata del crimine nell’ultimo anno. Come evidenziato dallo studio del Centro per i diritti umani Fray Bartolomé de las Casas, in Chiapas avvengono “violazioni sistematiche dei diritti umani”, dovute alle “interazioni tra la criminalità organizzata, i gruppi armati e gli evidenti legami con i governi e le imprese”.
In un contesto del genere, la voce dell’Esercito Zapatista continua a farsi sentire con forza, per promuovere l’idea di un mondo diverso e ricordare che esistono alternative al capitalismo e al suo sistema di sfruttamento sistematico e distruttivo. Il passaggio di testimone avvenuto lo scorso novembre, quando il subcomandante Galeano ha dichiarato la propria morte simbolica lasciando il ruolo di portavoce alle nuove generazioni (senza ancora indicare, tuttavia, chi gli succederà), lascia presagire l’inizio di una nuova fase della resistenza zapatista. E la lotta non accenna affatto ad arrestarsi.
[di Valeria Casolaro]
Grazie V Casolaro, la lotta per sviluppare la consapevolezza continua… una buona notizia!
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