Un tecnico sta finendo di allestire il palco. Piazza il podio, poi si premura di stendere il fondale e vi affligge i simboli del partito, assicurandosi che gli stendardi dei politici siano posizionati in maniera perfettamente simmetrica. Un operatore radiotelevisivo ha appena finito di installare la propria macchina da presa e si ripara all’ombra delle fronde per discutere con il proprio supervisore le modalità di trasmissione previste per il comizio. Tutto attorno, una ventina di individui sta attendendo con ansia l’inizio dell’evento, chiacchierando rumorosamente. Nel tentativo di distogliere l’attenzione dall’evidente ritardo sulla scaletta del programma, il capo partito cerca di intrattenere i suoi fedelissimi elettori raccontando barzellette di dubbio gusto. La polizia, schierata in gran forze, interviene per garantire assistenza a un passante colto da quello che sembrerebbe essere un colpo di calore. Alla distanza, un soldato SS assiste alla scena.
La politica diventa un gioco da bambini
Stando a molte importanti aziende tech, il metaverso avrebbe dovuto rappresentare il futuro della navigazione internettiana. Tutti si sarebbero trovati a esplorare ambienti 3D con i propri avatar (personaggi) per immergersi in un’esperienza coinvolgente e profonda. Con l’avvento dei modelli di linguaggio, gli interessi finanziari delle industrie si sono però allontanati dalla necessità di creare un simile universo digitale e si sono piuttosto trasferiti sulle più remunerative intelligenze artificiali. Ciò non vuol dire che però il progetto sia stato del tutto accantonato, esistono anzi realtà miliardarie che stanno prosperando al di fuori del campo visivo della massa. L’interpretazione del metaverso proposta dalla piattaforma d’intrattenimento Roblox è per esempio ricca di esperienze varie ed eterogenee. Gli utenti godono di possibilità creative notevoli, limitate solamente dalla loro fantasia. Sorprendentemente, un notevole numero di utenti italiani preferisce però investire il proprio tempo all’interno di ambienti digitali che riproducono realtà estremamente vicine all’esperienza quotidiana, imitando la macchina statale. Una scelta tutt’altro che ovvia, tenendo conto che, secondo alcune stime, il 45% del pubblico di Roblox ha un’età inferiore ai 12 anni. Il comizio di cui sopra ne è l’esempio perfetto. A esclusione di qualche disturbatore internettiano, immediatamente marginalizzato, il raduno si è svolto in maniera estremamente verosimile e formale: l’oratore si è intrattenuto in un breve discorso autocelebrativo, ha rimarcato i punti deboli degli avversari, quindi ha annunciato la nascita di una coalizione che ospita partiti dalle visioni politiche apertamente contrastanti, uno stratagemma governativo che gli italiani conoscono fin troppo bene. Ciò che emerge è un’atmosfera di normalità che va oltre il simulacro di una singola orazione pubblica: il tutto si si estende anche alla creazione di una fitta burocrazia che regola un ampio insieme di fattori, dalla distribuzione di comunicati stampa alla partecipazione ai bandi per diventare parte dell’organico amministrativo. La possibilità di interpretare il ruolo di politici e tecnici rappresenta d’altronde solo un’opzione secondaria in confronto alla grande attenzione che questi canali dedicano a permettere ai propri utenti di intraprendere percorsi digitali che emulano in tutto e per tutto le Forze dell’Ordine. Interi plotoni di giocatori si impegnano nello studio di formazioni militari, conducono esercitazioni antiterroristiche, praticano interventi di primo soccorso e svolgono controlli ai libri contabili degli esercenti. In questo ambiente, è possibile impersonare ruoli quali esercito, polizia, carabinieri, guardia di finanza, pompieri, alpini, bersaglieri e paracadutisti, ciascuno caratterizzato da regole precise e una rigida gerarchia da scalare.
Il fascino della divisa
Non è facile avere un’idea precisa di quale sia l’anagrafica dei partecipanti a questi reenactment (rievocazioni storiche), tuttavia è lecito pensare che una buona parte dei soggetti coinvolti siano di età inferiore ai venti anni. Con questa consapevolezza, può risultare bizzarro, se non addirittura inquietante, il fatto che intere comunità di minori si ritrovino online per simulare con un certo grado di impegno quegli scenari che nella maggior parte dei casi li spingono a vestire una divisa e a imbracciare dei fucili. «Prima, nel gioco simulativo, si prendeva ad esempio dagli adulti: facevo la famiglia, facevo il papà, facevo la mamma. Poi, con i media generalisti, il gioco si è spostato sul fare quello che si vede nei cartoni animati e nei film», spiega il professor Michele Marangi del CREMIT, il Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Innovazione e alla Tecnologia. I punti di riferimento a cui attingono i minori sono «legati a come le medialità di oggi sono cambiate nelle forme […], sicuramente il fascino per l’autoritario fa un po’ parte del contemporaneo». Considerare Roblox come un comune videogioco potrebbe indurre a fraintenderne l’essenza. Il portale non impone un modulo univoco dall’alto, ma si apre a mondi progettati e gestiti dagli utenti stessi. Questa libertà creativa garantisce a Roblox una notevole potenza proiettiva, permette agli utenti di sentirsi completamente immersi nel mondo che hanno contribuito a creare e di diventare pienamente protagonisti delle esperienze che vivono.
Il limite dell’autoesperienza
In Learning and Games, il sociolinguista James Paul Gee ha sostenuto che gli approcci simulativi presentati nelle esperienze ludiche simili a questi simulacri statali, “vanno oltre all’individuo per includere la partecipazione dell’individuo all’interno del gruppo sociale che fornisce significato e senso agli obiettivi, all’interpretazione, alla pratica, alle spiegazioni, al debriefing e al riscontro: condizioni necessarie per l’apprendimento profondo di un’esperienza”. Secondo il professor Marangi, le modalità simulative presenti su Roblox mancano però di quel momento metariflessivo che servirebbe a calcificare un’esperienza nella forma di una crescita formativa. Come capita in ogni gioco, lasciati a sé i giovani riescono tranquillamente a sviluppare attività incentrate su regole e rapporti di autorità. Queste norme concordate si dimostrano utili a istituire un concetto di “legge” che sia condiviso e che possa compensare incertezze e fragilità, tuttavia, senza la supervisione di uno sguardo consapevole, questa autogestione fatica a tradursi adeguatamente nella sfera del reale. «Il pensare di essere abile nel videogioco mi da l’idea di essere abile tout court nella situazione più ampia e se scopro di non esserlo mi scatta la frustrazione», sostiene il professor Marangi. «Forse i carabinieri reali, la polizia reale, la guardia di finanza reale, dovrebbero creare un gioco simulativo certificato che permette [agli utenti] di fare le prime esperienze», un suggerimento che valorizzerebbe l’insegnamento dei ruoli di riferimento che i giovani mostrano di voler perseguire, ma che forse minerebbe la solidità delle pratiche comunitarie che alimentano il perseguimento delle imprese condivise.
[di Walter Ferri]