Nonostante il dibattito politico internazionale, le proteste di associazioni ambientaliste e gli studi di numerosi scienziati, la Norvegia è diventata la prima nazione al mondo a dar il via al deep-sea mining: la controversa attività di estrazione di minerali critici in acque profonde che in nome della transizione energetica rischierebbe di danneggiare proprio l’ambiente. La decisione è stata presa dal Parlamento con 80 voti a favore e 20 contrari e permetterà di raschiare un’area marina di circa 281.000 km quadrati, la quale verrà suddivisa in lotti che saranno assegnati alle società minerarie incaricate di estrarre litio, magnesio, cobalto, rame, nichel e tutti gli altri metalli delle terre rare presenti nei fondali del Mar di Norvegia. Attualmente non sono ancora state definite tempistiche e scadenze in quanto ci sarebbe prima l’intenzione di «vedere se può essere fatto in maniera sostenibile». Tuttavia, la notizia ha già scatenato la reazione di organizzazioni ambientaliste come Greenpeace ed Environmental Justice Foundation, che hanno definito la pratica come “responsabile della distruzione degli oceani” e della fauna marina.
Il deep-sea mining è una controversa pratica di estrazione di minerali rari che avviene su un fondale oceanico. Una volta mappate le aree che contengono quantità rilevanti degli elementi cercati, le compagnie procedono a raschiare i fondali, smuovendo noduli polimetallici, solfuri e croste di cobalto presenti fino a 5.000 metri di profondità e aspirandoli attraverso delle tubature che li portano fino alle navi di appoggio. A regolamentare le attività estrattive è l’International Seabed Autorithy (ISA), fondata nel 1982 sotto l’egida delle Nazioni Unite e formata da 36 membri del consiglio più l’Unione Europea.
Il provvedimento fa seguito ad una proposta precedente che prevedeva di aprire all’estrazione mineraria in acque profonde una porzione di ben 329.000 km quadrati, poi ridotta a 281.000 km quadrati, un’area grande quasi quanto l’Italia. Nonostante non esista ancora una cronologia pubblica dei prossimi eventi, secondo alcuni esperti il prossimo passo potrebbe essere l’invito alle aziende di presentare offerte per ricevere licenze di esportazione, cosa che potrebbe avvenire già quest’anno. Il tutto allo scopo di estrarre i minerali delle terre rare presenti sulle montagne sottomarine e nei depositi di solfuro su sorgenti idrotermali norvegesi per “garantire il successo nella transizione verde”. Astrid Bergmål, segretaria di stato norvegese presso il ministro dell’Energia, ha dichiarato: «Dobbiamo tagliare il 55% delle nostre emissioni entro il 2030, e dobbiamo anche tagliare il resto delle nostre emissioni dopo il 2030. Quindi, il motivo per cui esaminiamo i minerali dei fondali marini è la grande quantità di minerali critici che saranno necessari per molti anni». Ha poi aggiunto che l’estrazione mineraria in acque profonde verrà effettuata con un «approccio graduale» e che sarà consentita solo se il governo norvegese potrà garantire che sarà effettuata in «modo sostenibile e con conseguenze accettabili».
La notizia ha scatenato però la reazione di associazioni ambientaliste, gruppi di cittadini e scienziati, che hanno sottolineato i rischi per la flora, la fauna e l’intero ecosistema marino. Preoccupazioni che trovano conferma anche in un recente studio condotto in Giappone, il quale ha mostrato che le popolazioni animali diminuiscono dove avviene l’estrazione mineraria e la pratica lascia un’impronta più ampia di quanto si pensasse in precedenza. «È imbarazzante vedere la Norvegia posizionarsi come leader nella protezione degli oceani mentre dà il via libera alla loro distruzione nelle acque artiche. Ma questa cosa non finisce qui. L’ondata di proteste contro l’estrazione mineraria in acque profonde è appena iniziata», ha dichiarato Frode Pleym, responsabile di Greenpeace Norge. Steve Trent, amministratore delegato e fondatore della Ong Environmental Justice Foundation ha aggiunto: «La decisione è un segno nero irrevocabile sulla reputazione della Norvegia come Stato responsabile della tutela degli oceani. Il deep-sea mining è la ricerca di minerali di cui non abbiamo bisogno, con danni ambientali che non possiamo permetterci. Sappiamo molto poco delle profondità dell’oceano, ma ne sappiamo abbastanza per essere sicuri che l’attività mineraria spazzerà via una fauna selvatica unica, disturberà il più grande deposito di carbonio del mondo e non farà nulla per accelerare la transizione verso le economie sostenibili». Gli ambientalisti sostengono che una strategia migliore sarebbe destinare maggiori investimenti al riciclaggio e al riutilizzo dei minerali esistenti già estratti sulla terraferma. La Environmental Justice Foundation, per esempio, ha stimato in un rapporto che 16.000 tonnellate di cobalto all’anno, circa il 10% della produzione annuale, potrebbero essere recuperate attraverso una migliore raccolta e riciclaggio dei telefoni cellulari. Secondo ricercatori come Peter Haugan poi – direttore dell’Istituto di geofisica dell’Università di Bergen e direttore dell’Istituto norvegese di ricerca marina – i piani “vanno contro il parere scientifico” e potrebbero anche essere una “violazione della legge” a causa della mancanza di prove necessarie per valutare l’impatto ambientale.
[di Roberto Demaio]