Arriverà la fine del greenwashing? Difficile dirlo, ma quanto meno auspicabile, visto che a prendersi gioco dei consumatori (ovvero delle persone) ci si mette davvero poco…
Quello delle affermazioni fuorvianti a base verde è un problema che si è iniziato a diffondere quando il concetto di sostenibilità è diventato di dominio talmente pubblico che le aziende, per strizzare l’occhio a questa tendenza, hanno cominciato a scrivere di tutto di più sui loro prodotti, nelle loro campagne pubblicitarie ed in qualunque iniziativa di marketing. Affermazioni vaghe e spesso infondate, fanno parte di un ecologismo di facciata che crea solo confusione nella mente dei futuri acquirenti. Per ovviare a tutto ciò, nel marzo del 2023 al Parlamento europeo è stata proposta la Green Claims Directive, che ha trovato l’appoggio del Consiglio lo scorso settembre e che, in assenza di sorprese e colpi di scena dell’ultimo minuto, dovrebbe essere adottata da tutti i Paesi dell’Unione Europea entro il 2026.
Cosa prevede la Green Claims Directive
La Green Claims Directive è una proposta di legge che comprende una serie di norme che riguardano il greenwashing a tutela dei consumatori, basata su tre principi fondamentali: fondatezza, comunicazione e verifica. L’obiettivo è quello di far sì che qualunque affermazione ambientale su prodotti/servizi offerti sia fondata su dati verificabili e misurabili; regolamentando in che modo le aziende possono promuoversi presso i consumatori e come non possono farlo. Evitare la disinformazione, limitando le bugie.
Frasi generiche e senza supporto come “green”, “amico della natura”, “efficiente dal punto di vista energetico” e “biodegradabile”, saranno vietate, a meno che i prodotti non possano mostrare le prove concrete di queste prestazioni ambientali eccellenti. Il divieto vale anche per tutte le affermazioni relative alla decarbonizzazione: la dicitura carbon neutral non potrà essere più usata, a meno che le compensazioni (perché di questo si tratta, non di emissioni zero) non siano basate su programmi certificati. In questo caso specifico la Commissione si augura che vengano progettati interventi volti a ridurre gradualmente l’impronta piuttosto che a compensare con metodi non sempre trasparenti e facili da contabilizzare.
Niente più affermazioni basate su prestazioni future in materia ambientale senza prove. Questa direttiva aiuterà ad accettare le interpretazioni scientifiche e a condividere pubblicamente i relativi dati; impedendo alle aziende di fare marketing su prodotti che già soddisfano gli standard di settore (ovvero fare leva su cose ordinarie previste dalle norme vigenti come incredibili passi in avanti verso la sostenibilità).
Con l’entrata in vigore di tale direttiva le imprese saranno responsabili (e perseguibili) delle proprie affermazioni. Se un’azienda dichiara che la sua produzione è a zero emissioni di carbonio e in realtà non lo è, sia l’azienda che il suo team responsabile saranno soggetti ad una causa per danni. Questo, unito ad altre norme in fase di attuazione o entrate in vigore da poco, come l’EPR (Extended Product Responsability, Responsabilità Estesa del Produttore) e le dritte sull’ecodesign, obbligherà le aziende a valutare in maniera certosina le varie fasi di ciclo di vita del prodotto, documentando ogni passo ed analizzandone l’impatto ambientale.
Una mossa molto importante perché fino ad oggi un’azienda poteva definirsi “verde” utilizzando informazioni selettive a causa della mancanza di standard. Una volta fissate delle direttive ed inserito un obbligo certificativo, si potrà procedere con una comunicazione all’esterno chiara e trasparente (ma soprattutto supportata da fatti concreti). Chi continua ad utilizzare etichette senza verifica, sarà soggetto al pagamento di un risarcimento e/o sanzioni da parte dei relativi organi governativi. Da questi obblighi saranno esentate le microimprese con meno di 10 dipendenti e meno di 2 milioni di fatturato annuo.
Al momento si tratta ancora di una proposta non ancora entrata in vigore, per cui gli Stati membri dell’Unione avranno tutto il tempo di adattare la direttiva ai rispettivi ordinamenti giuridici nazionali entro 18 mesi. Nel frattempo, integrare le pratiche di sostenibilità aziendale e cominciare a modificare i processi interni è un ottimo modo per non farsi trovare impreparati e ottimizzare i tempi. Oppure si può continuare con il proprio modus operandi, ma almeno facendo a meno di dichiarazioni verdi false fatte apposta per confondere il cliente finale.
[di Marina Savarese]