La storia è un’arma politica e la battaglia si combatte soprattutto sul far cominciare il racconto nel punto esatto in cui fa comodo a chi ha il potere di raccontarla. La questione palestinese, da questo punto di vista, è un caso da manuale. Il nuovo numero del Monthy Report, il mensile di approfondimento e inchiesta de L’Indipendente, nasce proprio con l’obiettivo di aiutare il lettore a comprendere le ragioni profonde di un conflitto che va avanti da oltre un secolo e che ancora non vede fine. E per permettervi di farlo ci siamo impegnati di raccontarvi tutta la storia, dall’inizio, come sui media non l’avete mai letta. Un numero quindi che crediamo fondamentale e al quale abbiamo lavorato a lungo per permettere ai lettori di comprendere realmente il conflitto tra Israele e Palestina attraverso 40 pagine fitte di articoli, mappe e numeri.
Il numero è disponibile in formato digitale e cartaceo per gli abbonati (qui tutte le info per abbonarsi) ed ora anche per i non abbonati (a questo link).
L’editoriale del nuovo numero: Da che punto si racconta un storia?
Raccontando la carneficina in corso a Gaza secondo il racconto mediatico dominante non esiste nulla prima del 7 ottobre: la storia inizia con un’organizzazione terroristica che, non si sa perché, decide di andare a compiere una strage in Israele. In questo modo il gioco è fatto e il racconto è semplicissimo: da una parte dei pazzi estremisti, dall’altra il diritto a difendersi di uno Stato. Ogni ragionamento è rimosso e al massimo si può discutere timidamente se forse le forze israeliane non stiano un poco esagerando nella reazione, portando così il dibattito pubblico all’esatto livello desiderato dal potere politico.
Quando invece si parla delle ragioni storiche del conflitto la parola passa invece alla storiografia dominante, ovvero quella che ha accesso alla tv e ai grandi media, che in Italia è fatta sempre da un piccolo manipolo di giornalisti scelti. Il massimo rappresentante ne è probabilmente Paolo Mieli, che distribuisce pillole di storiografia preconfezionata come autore di Rai Storia e come editorialista del Corriere della Sera. All’indomani degli attacchi del 7 ottobre, a Mieli, sono bastati 60 secondi per confezionare la propria pseudo-storia del conflitto in un video prodotto dal Corriere: “Tutto ha inizio nel novembre 1947, quando le Nazioni Unite decidono la nascita di due Stati: uno ebraico e uno palestinese. Il 14 maggio 1948 lo Stato ebraico nasce, mentre dalle terre in cui doveva nascere lo Stato palestinese arriva un’aggressione dei Paesi arabi contro Israele, perché quello Stato vada in pezzi immediatamente”. Anche qui, naturalmente, tutto torna e la colpa è chiara. Ma la storia non si può fare in 60 secondi e soprattutto non inizia da dove la fa cominciare Paolo Mieli. Per comprendere il conflitto in Palestina bisogna partire da un altro mezzo secolo prima, se no non si capisce niente.
Conferenza di Berlino, 1884, piena epoca coloniale. Le potenze europee si ritrovano per ammantare di diritto le proprie pretese sul resto del mondo, e così nasce il principio legale della terra nullius, che in buona sostanza afferma razzisticamente che esistono territori di nessuno, scarsamente abitati da popolazioni incivili che possono essere occupati legittimamente dalle civiltà superiori. La Palestina, dove all’epoca vivevano circa mezzo milione di arabi e appena 24.000 ebrei (meno del 5% della popolazione) viene designata terra nullius, quindi colonizzabile. Il movimento sionista, anch’esso nascente in quegli anni, coglie la palla al balzo e afferma di voler andare in Palestina con il sacro diritto di rappresentare un “popolo senza terra che vuole prendere una terra senza popolo”. Ma il problema è che il popolo c’era, non era ebraico e non voleva farsi colonizzare. Con i soldi raccolti in occidente e con le armi comincia la colonizzazione ebraica a danno dei palestinesi. Ancora nel 1947, quando inizia la storia secondo gli amanuensi del pensiero governativo, i palestinesi rappresentano il 75% della popolazione. La loro “colpa” è quindi quella di aver rifiutato prima di farsi colonizzare e sfollare in silenzio, poi di non aver accettato una partizione assurda della loro terra in due Stati che avrebbe assegnato a poche decine di migliaia di coloni oltre la metà delle terre.
Questo numero del Monthy Report nasce appunto per fornire un servizio che crediamo fondamentale per chiunque voglia capire realmente la questione palestinese, smontando l’uso politico della storia e riannodando i fili della vicenda per poterla comprendere realmente. Solo così il conflitto israelo-palestinese emerge per quello che è: una storia coloniale. Che come tutte le vicende coloniali è fatta di arbitrio, violenze e abusi da una parte e di resistenza dall’altra.
L’indice del nuovo numero
- Una storia coloniale
- Io sono un palestinese
- Cronistoria ragionata di un conflitto lungo oltre un secolo
- Gaza, la prigione a cielo aperto più grande del mondo
- La lunga scia di violazioni del diritto internazionale da parte di Israele
- È vero che Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente?
- La posizione degli Stati internazionali nel conflitto
- L’attivismo per la Palestina nel mondo e il movimento BDS
- La pace impossibile: come potrebbe finire il conflitto israelo-palestinese
- Per approfondire: i consigli della redazione
Il mensile, in formato PDF, può essere acquistato (o direttamente scaricato dagli abbonati) a questo link: https://www.lindipendente.online/monthly-report/
L’editoriale mi rammenta i ricordi della mia nonna paterna che in Palestina era nata nel lontano 1885 e che a Gerusalemme ha vissuto con la propria famiglia cristiana sino al 1918, quando i primi scontri tra Ebrei supportati dal governatorato Inglese e dal partito sionista, coinvolser non solo i Palestinesi musulmani , ma anche i cattolici che vivevano a Gerusalemme. Per questo la famiglia lasciò casa e si disperse in parte ad Alessandria di Egitto ed in parte a Tripoli . I ricordi di mia nonna parlavano di una Gerusalemme divisa in settori abitati da musulmani , più numerosi istruiti e benestanti, cattolici il cui quartiere fu poi distrutto dal terremoto del 1923, ed ebrei circa numerosi al pari dei cattolici. Sino alla presenza nell’aerea dell’impero Ottomano mia nonna ricordava una vita tranquilla in quella città dove ognuno aveva diritto di professare la propria religione ed ognuno abitava nel proprio quartiere e non c’erano screzi iportanti. Di quel periodo a me è rimasta solo una foto del 1912 fatta nel cortile interno della casa di Gerusalemme per la ricorrenza di un battesimo e dagli abiti direi che non c’era certo miseria in casa . La mia storia non vuole certo dire niente , se non che mi sono occupata della questione della regione palestinese sin da bambina e mi resta difficile accettare la storia di Mieli o di altri siddetti storici allineati.
Bellissimo l’editoriale del direttore Legni e bellissimo tutto il numero speciale, come sempre!
Che la storia dipende da chi la fa, è il motivo per cui la studio solo sui libri dei miei antenati, che fortunatamente la vedono dal punto di vista di tante Città come deve essere : La storia non è quella che fa Roma o Washington, ma la somma delle storie di tutti gli uomini e di tutte le associazioni tra loro, come nel calcolo integrale e questo insegna che più associazioni tra gli uomini esistono, federalismo, sindacati ecc. Più ricca è la Storia dell’umanità.