A due anni di distanza dalle imponenti proteste canadesi del “Freedom Convoy” svoltesi a Ottawa nel gennaio 2022 contro l’obbligo vaccinale e il “green pass”, il giudice capo della Corte federale canadese Richard Mosley ha stabilito con una sentenza che la decisione del Primo ministro Justin Trudeau di invocare l’Emergencies Act del 1988 per reprimere i manifestanti è stata niente di meno che «irragionevole» e «incostituzionale»: la Corte federale si è espressa il 23 gennaio scorso in seguito a una richiesta di controllo giurisdizionale lanciata da alcuni gruppi di difesa delle libertà civili, tra cui la Canadian Constitution Foundation e la Canadian Civil Liberties Association. “Si dichiara che la decisione di emanare il Proclama il Regolamento e l’Ordine dell’associazione era irragionevole e ultra vires rispetto alla Legge sulle Emergenze”, si legge nella sentenza del Tribunale Federale. Si tratta di un pronunciamento significativo perché attesta come durante gli anni pandemici, con il pretesto dello “stato di emergenza”, siano stati violati i diritti fondamentali su cui dovrebbero basarsi i sistemi democratici, tra cui quello di espressione, di opinione e di manifestazione del dissenso. «L’uso di questa legge straordinaria da parte del governo Trudeau potrebbe essere l’esempio più grave di esagerazione e violazione delle libertà civili osservato durante la pandemia», aveva dichiarato nel 2022 Christine van Geyn, presidente della Canadian Constitution Foundation.
La manifestazione di protesta chiamata Freedom Convoy (Convoglio della libertà) era scaturita a causa dell’imposizione dell’obbligo vaccinale per i camionisti che attraversavano il confine con gli Stati Uniti, per estendersi poi a contestare anche le altre restrizioni pandemiche imposte dal governo canadese, così come dalla maggior parte dei governi del mondo in quel periodo. I manifestanti avevano bloccato le strade principali di Ottawa e i valichi di frontiera con gli Stati Uniti per più di un mese, paralizzando così completamente le attività della capitale canadese e creando gravi scompensi economici e danni d’immagine al governo guidato da Justin Trudeau. Così il primo ministro canadese – formato al Forum for Young Global Leader, la scuola del World Economic Forum (WEF) – non avendo trovato altri mezzi efficaci per reprimere le proteste, ha invocato la Legge sulle emergenze che gli ha consentito di ordinare alle banche di congelare i conti correnti dei “dissidenti”, vera chiave di volta per fare desistere i manifestanti. Come ha riportato la CNN, la Royal Canadian Mounted Police (RCMP) ha congelato un totale di 206 prodotti finanziari, inclusi conti bancari e aziendali e ha divulgato le informazioni di 56 entità associate a veicoli, persone fisiche e società che hanno preso parte alle proteste.
Nella sentenza, il giudice Mosley ha ritenuto “ingiustificato” il ricorso all’Emergencies Act, in quanto tale legge dovrebbe essere invocata solo nel caso in cui sia in pericolo la sicurezza nazionale e come ultima risorsa da utilizzare quando tutti gli altri strumenti a disposizione sono risultati inefficaci. Dal canto suo, il governo canadese si è giustificato affermando che le proteste avevano creato una crisi nazionale e che tutte le altre leggi erano risultate insufficienti a risolverla. Tuttavia, secondo la Corte, il governo non è riuscito a dimostrare questa tesi con elementi convincenti e ha ritenuto, invece, che le leggi esistenti – come dimostrato ad Alberta – avrebbero potuto essere efficaci. Per quanto riguarda il congelamento dei conti bancari, il giudice ha respinto l’affermazione dell’esecutivo di Trudeau secondo cui tale misura avrebbe rappresentato un danno minimo, sostenendo, al contrario, che avrebbe avuto un impatto sugli individui a livello nazionale, anche nelle province dove non si svolgevano proteste illegali. Il giudice ha concluso quindi che le misure hanno violato il diritto dei manifestanti «di essere al sicuro contro perquisizioni e sequestri irragionevoli». Il caso canadese ha messo, inoltre, ben in evidenza come il sistema finanziario possa essere utilizzato come arma contro i “dissidenti” e come, di conseguenza, la centralizzazione digitale di tutti i dati possa trasformarsi in un formidabile strumento di controllo e di punizione dei cittadini non allineati alle ideologie dominanti, come quella che ritiene legittima la restrizione delle libertà in nome della salvaguardia presunta della salute pubblica.
In Canada, il potere giudiziario è riuscito a controbilanciare – almeno in parte – quello che si può ora definire un vero e proprio abuso di potere da parte del governo, al contrario di quanto avvenuto in Italia, dove rispetto a proteste simili e contromisure coercitive gravi, nessun giudice ha condannato l’operato dell’esecutivo: basti pensare al caso dei manifestanti al porto di Trieste sgomberati dalla polizia con idranti e lacrimogeni nell’ottobre 2021. Al contrario, la Consulta italiana ha appoggiato e legittimato le azioni dell’esecutivo sancendo la ragionevolezza di obblighi e divieti, sebbene alcuni giudici abbiano preso le distanze dal pronunciamento della Corte costituzionale.
Anche in Canada, tuttavia, la vicenda è ancora tutt’altro che conclusa: il governo, infatti, per bocca del ministro per gli Affari Intergovernativi Dominic LeBlanc, ha annunciato che ricorrerà in appello contro la sentenza della Corte federale. Occorrerà attendere quindi per capire se i giudici avranno la fermezza e l’imparzialità necessaria per proseguire su una linea che va contro il potere politico.
[di Giorgia Audiello]
Sarà difficile proseguire sulla linea: oramai abbiamo visto come il potere e il denaro tendano a sporcare e riallineare anche le anime più pure. Però già questo è un buon segno e certamente il movimento di resistenza globale, i milioni di anime risvegliate e pronte a combattere, pacificamente, con il potere della loro Anima, cresceranno sempre più e prima o poi faranno crollare questo sistema marcio guidato dal denaro e basato su violenza, egoismo, prevaricazione, guerra. Siamo solo all’inizio.