lunedì 4 Novembre 2024

Escalation in Medio Oriente: uccisi tre soldati USA, Washington minaccia l’Iran

Ieri sera le forze filo-iraniane hanno lanciato un attacco presso una base statunitense nell’area nordest della Giordania, al confine con la Siria, causando 3 morti e un numero ancora imprecisato di feriti, che dovrebbero superare le 30 unità. A lanciare la notizia è stata CNN, riportando fonti provenienti dall’esercito americano. La situazione nelle ultime ore è parecchio concitata, perché con l’attacco di ieri sono arrivate le prime morti statunitensi dal 7 ottobre, e ci si aspetta una risposta dagli Stati Uniti. Nonostante non sia ancora arrivato alcun genere di accusa, in molti stanno puntando il dito contro Teheran, che ha negato ogni coinvolgimento, con l’argomentazione, spesso smentita dagli analisti, che le forze filo-iraniane siano mosse direttamente da lei. La Giordania, intanto, ha smentito che l’attacco si sia verificato nel proprio territorio, sostenendo invece che il drone si sia abbattuto su suolo siriano. Non è ancora chiaro a cosa possa portare questo evento, ma il rischio di escalation è certamente aumentato.

L’attacco si è verificato ieri attorno alle 18.00 (ora italiana) e pare si sia abbattuto sull’avamposto militare Tower 22, nell’area di Rukban, al confine con la Siria e molto prossima all’Iraq. Il Portavoce della comunicazione governativa giordana, tuttavia, ha smentito che l’offensiva abbia colpito il suolo giordano, sostenendo che il drone si sia abbattuto sulla base di Al-Tanf in Siria e condannando l’attacco. Se si escludono i media giordani, tutti i giornali, nonché le dichiarazioni di personalità statunitensi, fanno però riferimento a un attacco proprio su Tower 22. Il Presidente Joe Biden ha rapidamente rilasciato un comunicato sull’accaduto in cui esprime cordoglio per la perdita dei militari USA senza tuttavia esporsi apertamente e limitandosi a dire che prenderà misure contro «tutti coloro che sono responsabili nel tempo e nella maniera che stabiliremo». Le dichiarazioni del Segretario della Difesa Lloyd Austin ricalcano quelle del Presidente, e parlano di «azioni necessarie per difendere gli Stati Uniti», senza dunque specificare di che natura siano queste stesse azioni.

Tanto Austin, quanto Biden parlano apertamente di «forze spalleggiate dall’Iran», senza fare diretto riferimento né alla ragione di queste forze, né a Teheran stessa, la quale ha rapidamente negato ogni genere di coinvolgimento nell’attacco. Il Senatore repubblicano John Cornyn, tuttavia, si è mostrato di tutt’altro avviso, pubblicando un post su X in cui scrive in maniera molto concisa e diretta di «bersagliare Teheran». Lo stesso Donald Trump ha pubblicato sul suo social Truth un lungo post in cui suggerisce in maniera tutt’altro che velata che la responsabilità dell’accaduto risiede su Teheran, a detta sua finanziata e rafforzata da Biden, che negli ultimi anni in Medio Oriente ha portato avanti una politica fallimentare: «questo attacco non sarebbe MAI [maiuscolo originale] accaduto se io fossi stato Presidente». In molti insomma stanno sostanzialmente accusando l’Iran di essere dietro l’attacco. Nonostante ciò, va sottolineato come la maggioranza degli analisti sia d’accordo con il fatto che le forze filo-iraniane e l’Iran siano due entità, per quanto vicine, particolarmente diverse, e che quindi si debba fare attenzione a non confonderle: le prime, dopo tutto, portano spesso avanti istanze in maniera autonoma, e perseguono obiettivi personali svincolati da quelli iraniani, come per esempio nel caso degli Houthi.

Non è ancora chiaro a cosa l’attacco di ieri possa portare. Il tentativo di prendere tempo e l’intenzione di non volere ancora esporsi di Biden e Austin sono evidenti, ma la pressione interna negli USA, già parecchio elevata, rischia di farsi fortissima. Dal 7 ottobre le forze statunitensi dispiegate in Medio Oriente hanno subito numerosi attacchi, che secondo varie fonti hanno causato circa 70 feriti, ma tutti si sono rivelati casi di lieve entità. Il fatto che ieri siano morti i primi soldati americani preme gli Stati Uniti affinché forniscano una risposta. Non va, inoltre, sottovalutata la sede dell’attacco aereo; che l’offensiva si sia verificata in Giordania, dove gli USA sono presenti nell’ottica di un’operazione di “sostegno” contro Daesh, non è infatti cosa da poco: tra Siria, Iraq, Israele e Palestina, la Giordania è senza ombra di dubbio il più solido dei Paesi del Vicino Oriente, e a tal proposito basta solo guardare alla percezione comune. Un’offensiva in un Paese generalmente visto come porto sicuro può risultare in tal senso ben più grave di una condotta in un Paese in cui la tensione è già elevata. Se poi a ciò si aggiunge il fatto che parte dei territori della Giordania sono inclusi nei piani del Grande Israele, la situazione si complica ulteriormente, anche se finora non sembra che si sia davvero mai voluto allargare il fronte anche in Giordania. A complicare le cose, infine, c’è anche la richiesta irachena agli Stati Uniti di ritirare le proprie truppe dal territorio, che tra l’altro proprio negli ultimi giorni stava venendo discussa da Washington e Baghdad.

Secondo un ufficiale di Hamas, che ha rilasciato un’intervista a Reuters, l’attacco di ieri è un chiaro esempio del fatto che Washington debba fare qualcosa per frenare il massacro di Gaza, o il conflitto si allargherà. In ogni caso, gli USA non possono restare in silenzio e devono decidere che cosa fare; gli scenari più plausibili probabilmente sono due: il ritiro delle truppe o una più decisa discesa in campo, che tuttavia, se dovesse verificarsi, potrebbe portare a una escalation di non indifferente portata.

[di Dario Lucisano]

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2 Commenti

  1. Quando un Presidente USA si è ritirato vergognosamente dall’ Afganistan, ha supportato la guerra in Ukraina e sta perdendola, ha fatto finire Israele alla corte di Giustizia senza nussuno capisca cosa voglia, fa morire e ferire soldati come mosche per nulla, sta avvicinando l’Olocausto nucleare: Biden away whatever it takes.

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