La Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il divieto assoluto di affettività in carcere. Lo ha fatto cassando l’art. 18 della legge sull’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il partner – anche eventualmente a carattere sessuale – senza il controllo a vista delle guardie, quando, tenuto conto della sua condotta carceraria, non ostino ragioni di sicurezza, esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina o ragioni giudiziarie. Pronunciandosi su un giudizio di legittimità costituzionale proposto dal magistrato di sorveglianza di Spoleto, la Corte ha sancito che il detenuto ha il diritto di incontrare riservatamente non soltanto il coniuge, ma anche la parte dell’unione civile o la persona stabilmente convivente, riferendosi dunque anche alle coppie di fatto o omosessuali.
Il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto aveva sollevato questione di legittimità costituzionale in merito alla parte citata dell’art.18 O.P. dopo che un detenuto del carcere di Terni, che si trova dietro le sbarre dal 2019 e con un fine pena fissato alla primavera del 2026, aveva impugnato i divieti dell’amministrazione penitenziaria di effettuare colloqui “intimi e riservati” con la sua compagna e la piccola figlia. “L’ordinamento giuridico – ha messo nero su bianco la Corte nella sua sentenza – tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società”. Come spiegato nel comunicato stampa che ha accompagnato la pronuncia, la Consulta ha dunque registrato “la violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. per la irragionevole compressione della dignità della persona causata dalla norma in scrutinio”, nonché “per l’ostacolo che ne deriva alla finalità rieducativa della pena”. A un detenuto che non può beneficiare di permessi premio risulta impossibile coltivare forme di affettività familiare o rapporti sessuali con il proprio partner, il che, secondo la Corte, costituisce “una violenza fisica e morale sulla persona sottoposta a restrizione di libertà, peraltro con negativa incidenza su qualunque progetto di nuova genitorialità”. Da ciò deriverebbe “un vulnus alla serenità e alla stabilità della famiglia, protette dagli artt. 29, 30 e 31 Cost., nonché un danno alla salute psicofisica del detenuto, garantita dall’art. 32 Cost.”. La Corte ritiene inoltre violato l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, a causa del difetto di proporzionalità di un divieto radicale di manifestazione dell’affettività “entro le mura”.
Indicando una serie di profili organizzativi implicati dalla propria sentenza, la Corte Costituzionale ha auspicato una “azione combinata del legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell’amministrazione penitenziaria, ciascuno per le rispettive competenze”, attraverso la “gradualità eventualmente necessaria”. Ad accogliere con grande entusiasmo la pronuncia è stata l’Associazione Antigone, che da anni si batte a favore della sessualità in carcere. “Adesso – ha dichiarato in una nota Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione e docente di Sociologia del Diritto presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre – bisogna trasformare un diritto di carta in diritto effettivo. Finalmente, anche grazie alla determinazione e all’impegno di giudici di sorveglianza come chi ha rimesso gli atti alla Consulta, l’affettività e la sessualità non sono più un tabù. Così ci si avvicina ad altri Paesi che da tempo hanno previsto tale opportunità nei loro ordinamenti”. In Europa sono molti gli Stati che, in forme diverse, forniscono garanzie al diritto all’affettività all’interno delle case circondariali. Non solo Paesi del Nord Europa come Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia, ma anche i “vicini” Francia, Germania, Austria, Svizzera, Spagna e Croazia, cui si aggiungono il Belgio e l’Olanda.
[di Stefano Baudino]
Noi lo dicevamo già nel 68: Scopare è un diritto.