La Palestina ha conquistato per la prima volta nella sua storia l’accesso agli ottavi di finale di Coppa d’Asia, battendo per 3-0 Hong Kong. Il successo calcistico della selezione palestinese trascende i confini sportivi, rappresentando un simbolo di resistenza, vittoria, identità per un popolo sotto occupazione e costretto a fare i conti l’assedio dell’esercito israeliano, che in poco più di cento ha giorni ha ucciso a Gaza quasi 26 mila civili, di cui la metà bambini. Prima, durante e dopo le partite, i giocatori palestinesi hanno inviato messaggi di speranza e lanciato appelli per un cessate il fuoco, contribuendo a tenere accesi i riflettori sulla resistenza del proprio popolo e trovando nel calcio, lo sport più seguito al mondo, una cassa di risonanza per la sua voce e le sue istanze.
Nella diciottesima edizione della Coppa d’Asia, organizzata dal Qatar, la Palestina è finita nel gruppo C, insieme a Iran, Emirati Arabi Uniti e Hong Kong. Il 14 gennaio scorso la nazionale palestinese ha fatto il suo esordio contro l’Iran, perdendo 4-1. La partita è stata preceduta da un minuto di silenzio per le vittime del massacro di Gaza. Sugli spalti sono poi comparse decine di bandiere della Palestina, con i tifosi che hanno mostrato fieramente la Kefiah, copricapo tradizionale della cultura araba e ormai simbolo della resistenza palestinese. Dopo aver pareggiato 1-1 con gli Emirati Arabi Uniti, la squadra allenata dal tunisino Markam Daboub ha disputato il match da dentro o fuori con Hong Kong, superandola e accedendo così agli ottavi di finale tra le migliori terze classificate ai gironi.
Si tratta di un risultato storico, raggiunto dopo i tentativi falliti del 2015 e 2019, quando la selezione palestinese non è andata oltre la fase iniziale della Coppa d’Asia. Un risultato che assume ancora più valore alla luce dei messaggi di speranza che i palestinesi da Gaza, Cisgiordania e il mondo intero hanno affidato ai 26 connazionali. In alcune delle tende di fortuna allestite nella Striscia i gazawi sono riusciti a seguire l’impresa della propria squadra, riunendosi e trovando una piccola personale tregua nell’inferno in cui è piombata l’area.
I calciatori palestinesi sono volati agli ottavi sulle ali di un popolo intero, trovando in quest’ultimo la forza di scendere in campo nonostante le difficoltà nel reperire i propri cari, nel venire a conoscenza della morte di amici, familiari e di centinaia di civili ogni giorno, nell’assenza di un complesso infrastrutturale a sostegno del movimento sportivo. Tra il 2011 e il 2014 l’esercito israeliano ha iniziato a bombardare anche i campi da calcio presenti nella Striscia. L’accusa di ospitare la resistenza intendeva mascherare l’obiettivo reale degli attacchi: rendere impossibile la vita a Gaza.
Il campionato della Cisgiordania è stato sospeso dopo il 7 ottobre; la Palestina ha potuto prender parte alla diciottesima edizione della Coppa d’Asia grazie alla preparazione svolta in Algeria e in Arabia Saudita a partire dallo scorso 12 dicembre.
La spedizione palestinese in Qatar è carica di simbologia. Per festeggiare i gol nell’ultima partita, i giocatori si sono avvicinati agli spalti, hanno incrociato le braccia all’altezza dei polsi – invocando la fine del massacro – e hanno fatto il segno della “V” con le dita, simbolo di vittoria e di speranza, reso popolare da Winston Churchill durante la Seconda Guerra Mondiale e ripreso dal leader palestinese Yasser Arafat durante le interviste e le uscite pubbliche. Anche Mohammed Saleh e Mamhoud Wadi rappresentano dei simboli, dal momento che sono gli unici due gazawi che, grazie al tesseramento in club egiziani, sono riusciti a rispondere alla convocazione e ad essere presenti in Qatar per l’impresa palestinese. Al termine del match con Hong Kong, Mohammed Saleh ha mostrato il braccio al pubblico, indicando una scritta in rosa che riportava i giorni passati dal 7 ottobre: 110.
La Palestina scenderà di nuovo in campo stasera, per sfidare il Qatar con la consapevolezza di aver già realizzato un’impresa, capace di donare sorrisi e piccoli sprazzi di speranza a un popolo che, senza la sua forza intrinseca, avrebbe già abbandonato qualsiasi fiducia per il futuro e che invece continua a lottare per vedere i suoi diritti finalmente riconosciuti.
[di Salvatore Toscano]
Dei campioni veri, altro che le bambolette italiche