domenica 24 Novembre 2024

Uno studio rivela che il riscaldamento a pellet inquina più di petrolio e carbone

Un recente studio pubblicato sulla rivista Renewable Energy ha dimostrato, per la prima volta, che gli impianti a biomassa legnosa degli Stati Uniti emettono in media una quantità di inquinamento quasi 3 volte superiore a quella rilasciata dagli impianti a combustibili fossili tradizionali, come petrolio e carbone. Secondo la ricerca, in particolare, la combustione di pellet in legno per fini energetici emette un’ampia gamma di inquinanti atmosferici, tra cui particolato e diossine altamente dannosi per la salute umana. Migliaia di tonnellate di inquinanti atmosferici tossici, dall’ossido di azoto ai composti organici volatili, verrebbero inoltre emessi anche nel processo di produzione dei pellet, soprattutto nel sud-est degli USA. Nel complesso, almeno 55 inquinanti hanno superato di due volte la soglia di concentrazione consentita dalle agenzie statali per la qualità dell’aria. I valori più elevati – ha poi evidenziato lo studio – hanno un impatto negativo perlopiù sulle comunità povere e minoritarie che tipicamente vivono vicino agli impianti di pellet.

Negli Stati Uniti, quindi, la combustione di biomassa forestale contribuisce fino al 17% di tutte le emissioni inquinanti, pur rappresentando solo l’1,3% della produzione energetica totale. Interpellati, i rappresentanti dell’Associazione statunitense del pellet industriale non hanno voluto rilasciare dichiarazioni. Tuttavia, basta dare un’occhiata al loro sito per rendersi conto di come stiano tentando di mistificare la realtà. In fatto di emissioni climalteranti, ad esempio, il sito web dell’Associazione è pieno di contenuti che affermano quanto l’industria del pellet sia ‘neutrale’ poiché le foreste tagliate ricrescono nel tempo e sequestrano il carbonio emesso. Eppure, anche su questo fronte, la combustione della biomassa non sembra una scelta sensata. Secondo uno studio del 2018, tale fantomatica neutralità climatica si avrebbe infatti solo se le foreste tagliate per ricavare pellet venissero lasciate in pace per oltre un secolo. Ciononostante, i governi appaiono ancora determinati a incentivare il settore. Nel giugno 2023, il Servizio Forestale degli Stati Uniti ha annunciato l’erogazione di circa 10 milioni di dollari a sostegno di una serie di progetti pilota di combustione di biomasse in Alaska, California, Washington, Colorado, Kentucky, New Hampshire e Virginia. Il tutto, a detta di numerosi gruppi ambientalisti e di giustizia sociale, grazie anche ad operazioni di lobbying sul Congresso degli Stati Uniti da parte di due dei maggiori produttori di pellet al mondo, le aziende Enviva e Drax che complessivamente gestiscono oltre una dozzina di impianti nel sud-est degli Stati Uniti.

Ma anche oltreoceano la situazione non cambia. Sia l’Unione Europea che il Regno Unito hanno già speso miliardi di fondi pubblici per convertire decine di impianti energetici a carbone in impianti a pellet. Basti pensare che, nella sola UE, la combustione della biomassa per la produzione di energia rappresenta quasi il 60% del cosiddetto mix di energie rinnovabili. Così, nel complesso, il Vecchio Continente rappresenta il più grande mercato mondiale di pellet in legno. E, nonostante gli avvertimenti degli scienziati, la crescita non sembra subire battute d’arresto. Nel 2021, il consumo di pellet nell’UE è salito a oltre 23 milioni di tonnellate e la domanda, anche grazie alla direttiva sulle energie rinnovabili REDII, dovrebbe salire ancora. Ed è proprio su questo punto che gli ambientalisti stanno cercando di far leva per cambiare le cose. Come può una direttiva destinata a promuovere la sostenibilità appoggiare un settore dannoso in termini di inquinamento e impatti sul clima e gli ecosistemi? Si sono ad esempio più volte chiesti gli attivisti della Forest Defenders Alliance. Un’alleanza composta da più di 100 ONG che circa un anno fa ha promosso una petizione per chiedere all’Europa di rivedere la Direttiva sulle energie rinnovabili, specie alla voce ‘Combustione del legno’, alla quale sono destinati ben 17 miliardi di euro di sussidi per la produzione di energia rinnovabile.

[di Simone Valeri]

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3 Commenti

  1. Sempre difficile fare analisi puntuali sulle ricerche e studi perchè, prima di tutto, andrebbe capito chi li ha finanziati e che conflitti di interessi possano esserci nei ricercatori.
    Le mie origini contadine mi hanno insegnato che il fiume ci dava quello che serviva per scaldarci e cuocerci il cibo con la cara vecchia stufa economica. Il caldo meraviglioso e asfissiante del locale in cui c’era la stessa e il freddo pauroso del resto delle stanze sono rimaste scalpellate. Ora le stufe e comunque anche i camini sono stati sicuramente potenziati, abbelliti ed anche valorizzate in termini di efficienza; sono state integrate al sistema di riscaldamento e si scalda così tutta casa ma la materia prima è e resta il legname. Va incentivato pertanto il fatto di tornare a pulire gli argini dei fiumi e i boschi cedui periodicamente e, se venisse fatto, probabilmente avremmo meno rischi per le alluvioni (vivo in Romagna e ho sentito su di me il significato). Dopo l’alluvione sono passati e in un paio di mesi hanno desertificato l’argine rimuovendo e macinando ogni singolo albero lasciandone qualcuno qua e la devastando anche zone di interesse paesaggistico, cumuli di cippato alti come edifici a 4 piani trasportati chissà dove e trasformati chissà come, quanto gasolio, energia e risorsa umana per riportarcelo sotto forma di pellet?
    Io resto della mia, la legna ha fatto sopravvivere il genere umano permettendo l’evoluzione fino a questo punto e tutte le abitazioni ed aziende che ce l’hanno disponibile in vicinanza devono poterla sfruttare al meglio e semplificando loro la vita ed incentivandoli.
    Saluti radiosi

  2. Interessante e condivisibile commento, anche per quanto riguarda il controverso tema dei cambiamenti climatici. Il solo fatto che l’origine antropica del cambiamento climatico sia un vessillo al vento delle Istituzioni (Europee e no) lo rende altamente sospetto.

  3. L’articolo meriterebbe ulteriori e auspicabili approfondimenti sul più ampio tema dei combustibili green di origine legnosa, p.es. sul combustibile legna a pezzi o in cippato non pellettizzato.
    E’ chiaro che sono gli interessi economici fondamentalmente a spingere o vietare i vari prodotti e sistemi per il riscaldamento, come per i trasporti, con ben poco interesse olistico per il Sistema Terra e i suoi Abitanti, da parte, in primis delle Istituzioni, che da un lato promuovono glifosato e OGM e dall’altro le produzioni sostenibili…. Ora, se ci concentriamo sul controverso tema dei cambiamenti climatici considerato ormai il primo problema ecologico (è tutto da dimostrare che siano di origine antropica e non causati dalla periodicità dell’attività solare come sostenuto da numerosi scienziati che negano il mantra dei cambiamenti climatici di origine antropica) innegabilmente la legna e i suoi derivati possono essere CO2 neutral perchè, in linea di massima è possibile rigenerare la risorsa in tempi brevi (e non mi risulta che in media occorra lasciare a riposo il bosco per 100 anni, come scritto nell’articolo forse in riferimento al particolare caso del pellet USA: se parliamo di un bosco ceduo nostrano dovrebbe bastare un quarto di secolo), senza considerare tutto il legname naturalmente morto recuperabile dai boschi per esempio lungo le aste fluviali o dopo le tempeste (eventi estremi come Vaia). Se guardiamo al problema dell’inquinamento dell’aria, che è cosa più certa, ci vuole una visione ampia: va capito se gli impianti (caldaie e stufe) ad altissima efficienza hanno, come sembra, emissioni accettabili o meno. Parliamo in ogni caso, aldilà del problema dei cambiamenti climatici, di combustibili che possono essere recuperati naturalmente senza abbattimenti e in ogni caso rinnovati e che consentono a numerose famiglie, specie in zone montane o lungo le aste fluviali, di essere indipendenti dal Sistema per il riscaldamento domestico. Occorre riflettere e discernere caso per caso: il legno è una grande risorsa, non si può condannare riportando uno studio USA sul pellet USA, nè tantomeno affastellando 100 ONG. Sicuramente vi sono ambientalisti che al contrario promuovono, con i dovuti distinguo, l’utilizzo della risorsa legnosa per il riscaldamento. Anche in Italia abbiamo detrazioni fiscali per l’acquisto e installazione di stufe e caldaie a biomassa ad alta efficienza: anche solo per poterli installare in zone di pianura occorre che siano ad altissima efficienza. Diversamente, sopra una certa quota (zone montane) non vi sono restrizioni. Questo è già un distinguo tra zone di pianura/città dove l’inquinamento dell’aria è un problema sensibile e zone montane dove il problema non esiste e al contrario vi è grande disponibilità di biomassa legnosa.

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