Martedì 6 febbraio lo studio legale statunitense Foley Hoag LLP ha inviato una lettera alla azienda petrolifera italiana ENI e ad altre due firme che operano nel campo energetico, avvisandole di non avviare alcun genere di attività nelle aree marittime della Striscia di Gaza che costituiscono Zona Economica Esclusiva (ZEE) della Palestina, contrariamente a quanto concesso dal Ministero dell’Energia israeliano. A riferirsi allo studio legale sono state le associazioni umanitarie di Al-Haq, Al Mezan, e il Centro Palestinese per i Diritti Umani, affiancate dal Centro Legale per i Diritti delle Minoranze Arabe in Israele Adalah, che ha a sua volta inviato una lettera al Ministro dell’Energia israeliano Eli Cohen. Precedentemente, il 29 ottobre 2023, lo stesso Ministero dell’Energia ha rilasciato sei licenze per l’esplorazione e lo sfruttamento delle acque al largo della Striscia di Gaza che rientrano nella “Zona G” dell’appalto, di cui circa il 62% rientra nella ZEE palestinese così come tracciata nella dichiarazione del 2019, e in conformità con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare firmata dalla Palestina nel 2015.
A rilasciare la notizia è il quotidiano palestinese Al-Quds, mentre in Italia è stata divulgata da un dettagliato articolo di Pagine esteri. Le concessioni oggetto di discussione sono state rilasciate dopo la quarta fase di offerte lanciata dal Ministero dell’Energia israeliano il 4 dicembre 2022, che concerneva un’area di 5.888 chilometri quadrati divisa in quattro zone, a loro volta divise in blocchi: la Zona E, costituita da tre blocchi per un totale di 1.127 chilometri quadrati, la Zona G, costituita da sei blocchi per un totale di 1.732 chilometri quadrati, la Zona H, costituita da cinque blocchi per un totale di 1.527 chilometri quadrati e la Zona I. Il 29 ottobre sono state concesse sei licenze per la Zona G e altrettante per la zona I. Nello specifico, le Zone H ed E costituiscono ZEE palestinese rispettivamente per il 73,9% e per il 5,4% della loro area, mentre la Zona G risulta per il 62,2% palestinese.
Le associazioni umanitarie hanno rilasciato il proprio comunicato congiunto giovedì 8 febbraio, e in esso denunciano le “licenze illegali di esplorazione di gas al largo della costa di Gaza”, chiedendo di “revocare le gare che violano il diritto internazionale”. Nella propria lettera, datata 5 febbraio, invece, Adalah chiede che vengano revocate le licenze per l’esplorazione nelle aree della Zona G di dominio palestinese, cancellate le gare in cui rientrano ZEE palestinesi, evitare che vengano firmati ulteriori contratti relativi alla Zona G, e fermare qualsiasi attività concernente lo sfruttamento di gas nelle aree marittime palestinesi. Infine, lo studio legale Foley Hoag LLP si rivolge a ENI, la britannica Dana Petroleum Limited, e l’israeliana Ratio Petroleum, informandole dell’illegittimità della gara israeliana a cui hanno partecipato, e sollecitandole ad astenersi dal firmare e dallo svolgere attività al largo delle coste di Gaza. Nel proprio avviso, l’avvocato Lawrence H. Martin dice di essere conscio che Israele nel 2020 ha rilasciato una nota in cui scrive che “non ammetterà nessuna attività non consensuale o non autorizzata” nelle acque reclamate dalla Palestina, eppure allo stesso tempo “anche la Palestina ha il diritto di bloccare attività non consensuali o non autorizzate” in quelle stesse acque.
Foley Hoag LLP, inoltre, avverte le società interessate che Israele pare stare “riponendo il rischio di questa situazione interamente sulle vostre spalle”, visto che nella Sezione 17.1 del modello di accordo di licenza si legge che “il detentore della licenza riconosce e accetta che l’area descritta è parte della Zona Economica Esclusiva dello Stato di Israele, che non è ancora stata pienamente delimitata”; per tale motivo se durante il termine della licenza “un’area o più aree verranno dedotte dall’area descritta sopra [la ZEE israeliana]”, l’area della licenza verrà ridotta “senza nessuna compensazione”. Insomma, nella licenza di sfruttamento delle acque palestinesi, non essendo esse riconosciute a Tel Aviv, Israele passa la proverbiale patata bollente alle società energetiche, avvisandole che nel caso quelle acque dovessero venire riconosciute alla Palestina, esse non verranno risarcite. Nonostante la questione del riconoscimento delle acque sia particolarmente controversa dal punto di vista legale, l’avvocato Martin ci ha tenuto a sottolineare come “ogni tentativo di esplorare e sfruttare le risorse naturali reclamate dalla Palestina rischia di violare la Legge Umanitaria Internazionale, inclusa la Legge sull’Occupazione”. Egli infatti ha ricordato alle società che Israele è in questo momento sotto accusa per avere violato la Convenzione sul genocidio e che la stessa Corte dell’Aia “detiene la giurisdizione per investigare e perseguire ogni individuo(i) che trova responsabile di aver commesso crimini di guerra, incluso il saccheggio”.
Insomma, sebbene la questione sembri intricata, essa è forse molto più lineare di come appaia: a fronte del massacro che Israele sta perpetrando nella Striscia, ENI e qualsiasi altra società coinvolta nello sfruttamento del territorio palestinese potrebbero venire accusate di violazione della legge internazionale e di essere protagonisti di veri e propri crimini di guerra.
[di Dario Lucisano]
Chissà che ruolo ricopre in tutto lo squallore che sta succedendo a Gaza la quantità di petrolio nel mare di Gaza ?
ENI ci copre di vergogna davanti al mondo, insieme a questo governo.
Leggi.. concessioni..interessi..denaro.
Morale ed etica non esistono proprio più, la gente muore e si pensa al gas.
Complimenti anche ad Eni, se mai ancora ce ne fosse bisogno e allo stato italiano che dell Eni, se non erro, detiene una cospicua percentuale.
Bravi tutti.
Lo sono, abbandonate Israele se volete stare fuori di prigione: Ora!