La Corte Suprema del Canada ha confermato che i popoli nativi del Paese hanno la propria sovranità in tema di assistenza all’infanzia. In una disputa legata alla legge C-92 del 2020, e contestata dal Québec, la Corte Suprema si è espressa affermando la costituzionalità di tale legge, la quale prevede un sistema di gestione indigeno per quanto concerne il trattamento dei bambini delle Prime Nazioni, degli Inuit e dei Métis. I bambini delle popolazioni indigene rappresentano ben il 53,8% di tutti i bambini che si trovano all’interno del sistema di assistenza all’infanzia del governo canadese. Questa sentenza rappresenta senz’altro una grande vittoria per le comunità indigene canadesi, le quali potranno adesso gestire al proprio interno i servizi necessari per i bambini.
In una sentenza di venerdì, la Corte Suprema canadese, con verdetto unanime, ha riconosciuto la legge C-92 come costituzionale, al contrario di quanto sostenuto dal Québec che si oppose alla legge per motivi giurisdizionali, sostenendo che Ottawa oltrepassava la sua autorità legislativa e violava la giurisdizione provinciale, riconoscendo effettivamente i popoli indigeni come un terzo ordine di governo. La legge è stata contestata dal Québec presso la Corte d’Appello della provincia, dove ha dichiarato che il Canada ha oltrepassato la sua autorità ai sensi della Costituzione imponendo standard nazionali alle province e dando alle comunità indigene il potere di ignorare le leggi provinciali in tema di benessere dei bambini. In quasi 100 pagine, la Corte ha tuttavia affermato che “nulla impedisce al Parlamento di affermare che il diritto intrinseco dei popoli indigeni all’autogoverno, riconosciuto e affermato dalla sezione 35 della Legge costituzionale del 1982, include l’autorità legislativa in relazione ai servizi per l’infanzia e la famiglia”.
«Oggi, la più alta corte del Canada ha riaffermato all’unanimità il nostro diritto intrinseco all’autogoverno, compreso il potere di prenderci cura dei nostri bambini e giovani. A causa dei sistemi coloniali, molte delle nostre famiglie sono state distrutte e hanno subito traumi intergenerazionali devastanti», ha dichiarato Natan Obed, Presidente dell’Inuit Tapiriit Kanatami. «Questa decisione storica, basata sulla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, segnala un’incredibile opportunità per trasformare i risultati socio-economici per gli Inuit e sostiene il nostro diritto all’autodeterminazione, un diritto a cui non abbiamo mai rinunciato», ha aggiunto.
La legge, sviluppata congiuntamente tra i partner indigeni e il governo federale e chiamata An Act respecting First Nations, Inuit and Métis children, youth and families, o C-92, è entrata in vigore il 1° gennaio 2020 affermando il diritto dei popoli indigeni di gestire i propri servizi di protezione dell’infanzia. Essa include sezioni che affermano che la legislazione indigena ha forza di legge federale e può sostituire la legge provinciale. La legge è stata sviluppata dopo che la sentenza del 2019 del Tribunale canadese per i diritti umani ha stabilito che il Canada ha discriminato i bambini delle Prime Nazioni nelle riserve, sottofinanziando i servizi che avrebbero dovuto aiutarli. Tra il 2022 e il 2023 la negoziazione ha portato ad un accordo da 43 miliardi di dollari così suddivisi: 23 miliardi di dollari pagati dal governo federale come risarcimento ai bambini delle Prime Nazioni e altri 20 miliardi di dollari accantonati per la riforma a lungo termine del sistema di assistenza all’infanzia e dei servizi per le famiglie.
La denuncia contro il Canada era stata presentata dalla First Nations Child and Family Caring Society e dall’Assemblea delle Prime Nazioni. In una dichiarazione, la società di assistenza ha affermato che la sentenza odierna «fa eco a una verità che persiste da troppo tempo in Canada, che c’è una crisi di sovra-rappresentazione dei bambini delle Prime Nazioni, Inuit e Métis nel sistema dei servizi per l’infanzia e la famiglia, e che la crisi deve finire». Native Women’s Association (NWAC) ha dichiarato che questa è una vittoria per le comunità indigene poiché tale legge permette di porre fine allo sradicamento dei bambini dalle comunità di appartenenza per essere inseriti in contesti culturali totalmente differenti dalle tradizioni di origine. I tal modo, quindi, i bambini che necessitano ad esempio di un reinserimento familiare potranno ottenerlo presso famiglie indigene piuttosto che al di fuori della comunità.
I bambini potranno quindi crescere all’interno delle proprie comunità indigene, imparando la lingua e ricevendo cure e assistenze secondo i canoni e i criteri della cultura tradizionale del proprio popolo, senza essere utilizzati come mezzo di propagazione del sistema coloniale attraverso assimilazione e sradicamento. Inoltre, tale vittoria circa la gestione dell’assistenza all’infanzia ha aperto adesso la porta a porzioni sempre più ampie circa la possibilità di autogoverno di Prime Nazioni, Inuit e Métis.
[di Michele Manfrin]