domenica 22 Dicembre 2024

L’ambasciata israeliana ordina, la RAI esegue: vietato dire “stop al genocidio” di Gaza

Nel solito calderone nazionalpopolare che è il festival di Sanremo, due artisti hanno trovato il coraggio di uscire dal torpore che investe la gran parte dei loro colleghi, incapaci o impauriti nel prendere posizioni coraggiose e in controtendenza. Prima Dargen D’Amico che per due volte ha chiesto dal palco il «cessate il fuoco», e poi il rapper Ghali che salutando il pubblico durante l’ultima serata ha detto «stop al genocidio». I due artisti – probabilmente consapevoli del clima di censura – nemmeno hanno nominato Gaza, seppur è parso chiaro a tutti che è al massacro dei palestinesi che si stavano riferendo. Apriti cielo. Terrore pure negli uffici di viale Mazzini, dove le parole di due cantanti sono state viste come un colpo alla narrazione a senso unico in favore di Israele che la televisione pubblica sta portando avanti ininterrottamente dal 7 di ottobre. L’ambasciatore israeliano in Italia, Alon Bar, ha attaccato con un comunicato: «Vergognoso che il palco del Festival di Sanremo sia sfruttato per diffondere odio e provocazioni», aggiungendo che il festival di Sanremo dovrebbe esprimere solidarietà alle vittime israeliane di Hamas.

L’ambasciatore israeliano come è normale che sia fa il suo lavoro, ovvero propaganda in favore del governo che lo paga. Sul palco del dopofestival chiedono a Ghali cosa si sente di rispondere alle accuse di Alon Bar, e lo fa con pacatezza ma senza ritrattare: «È da quando ho 13-14 anni che parlo di quello che sta succedendo nelle mie canzoni, perché non è dal 7 ottobre…questa cosa va avanti già da un po’. Il fatto che l’ambasciatore parli così non va bene, continua la politica del terrore, la gente ha paura di dire stop alla guerra, stop al genocidio, stiamo vivendo un momento in cui le persone sentono che vanno a perdere qualcosa se dicono viva la pace».

Di fronte all’attacco, se pure in RAI avessero voluto fare dignitosamente il proprio lavoro, ovvero difendere il diritto al pluralismo e alla libertà di espressione sancito dalla Costituzione oltreché dal regolamento aziendale, avrebbero potuto limitarsi a tutelare la libertà di parola dei due cantanti in gara. Volendo esagerare, avrebbero potuto anche far notare all’ambasciatore israeliano che non si capisce in che modo chiedere la fine di una guerra che ha provocato l’uccisione di circa 28.000 persone, tra cui oltre 12.000 bambini, sia da lui considerato «diffondere odio e provocazioni». Avrebbero potuto, infine, ricordare che è la stessa Corte di Giustizia Internazionale ad aver sancito che ci sono prove sufficienti per valutare l’accusa di genocidio nei confronti di Israele. Invece l’amministratore delegato, Roberto Sergio, non ha trovato di meglio che scrivere in fretta e furia un comunicato zerbinesco da far leggere in diretta dal palco del dopofestival a Mara Venier: «Ogni giorno i nostri telegiornali e i nostri programmi raccontano – e continueranno a farlo – la tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas, oltre a ricordare la strage dei bambini, donne e uomini del 7 ottobre. La mia solidarietà al popolo di Israele ed alla comunità ebraica è sentita e convinta».

Tutto quello che viene dopo è la solita polemica politica, con l’opposizione a denunciare la censura e il governo ad attaccare Ghali e la «propaganda anti-israeliana a senso unico» andata in scena al Festival, come l’ha definita il braccio destro della premier Meloni, Ignazio La Russa. Tuttavia l’ad della RAI va ringraziato: con il suo comunicato prono alla proteste dell’ambasciatore israeliano ha svelato oltre ogni dubbio la linea editoriale della TV pubblica sul massacro di Gaza. È dal 7 di ottobre, infatti, che Tg e approfondimenti non fanno altro che portare avanti una narrazione a senso unico: ogni giorno raccontano la tragedia dei 130 ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, i loro nomi sono stati ripetuti decine di volte, così come si è dato spazio alle testimonianze dei parenti e a resoconti strappalacrime sui loro progetti di vita interrotti. Gli oltre 28.000 palestinesi uccisi dalle bombe invece non devono avere lo stesso trattamento: sulla tivù pubblica loro non hanno nome, né un volto, né parenti che piangono. Sono solo numeri. Un processo che mira a modellare l’opinione pubblica facendola empatizzare solo con la parte israeliana. Come scritto saggiamente da Silvia Ballestra su Il manifesto, funziona così: «le frasi, quando sono in forma passiva, risultano senza complemento d’agente. I palestinesi vengono bombardati, sì, ma non si dice da chi. E muoiono, questo sì, ma risultano appunto morti, mai uccisi, perché se si muore ammazzati vuol dire che c’è qualcuno che ammazza, mentre lì, secondo questi servizi, visto che non si dice bene per mano di chi, si muore così, un po’ all’improvviso, nel nulla, tra bombe che cadono da sole».

[di Andrea Legni]

 

 

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5 Commenti

  1. Tutto tempo Perso guardare Sanremo e in generale la Tivù di Stato. Il Sistema va boicottato in modo radicale, per quanto possibile: sicuramente tutti gli intrattenimenti da circo per il popolino, come il calcio sono elementi di distrazione di massa. Leggere, informarsi, meditare, boicottare la Grande Distribuzione per la spesa, riconnettersi alle forze della Natura, aiutare chi è in difficoltà, queste sono le vere alternative. Poi il Sistema crollerà quando nessuno seguirà più i notiziari di Stato, nè il calcio nè tutte le stronzate che ci propongono per star buoni, quando nessuno più voterà.. E allora si potrà ricostruire su altre fondamenta. Ma per combatterlo ora è necessario essere coscienti, coltivando pensieri di Pace e Armonia per questa Terra, ma senza invischiarsi nelle sue logiche e nelle sue lotte.

  2. Con le nostre azioni, con il nostro tacere, con il nostro far finta di niente, ci stiamo scavando la nostra tomba, noi italiani e tanti paesi europei come noi su stanno scavando la loro stessa tomba.
    Forse dovremmo renderci conto che siamo più noi di aver bisogno dei paesi arabi o Russia che non loro di noi…

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