lunedì 4 Novembre 2024

Clima, il colosso ENI alla sbarra: è cominciata “la giusta causa”

Nella mattinata del 16 febbraio si è tenuta la prima udienza della causa climatica intentata contro la multinazionale fossile italiana ENI, Cassa Depositi e Prestiti e Ministero dell’Economia e delle Finanze. Le accuse erano state mosse lo scorso maggio da 12 cittadini e dalle organizzazioni Greenpeace Italia e ReCommon. Il Cane a sei zampe, in particolare, è stato citato in tribunale per «i danni cagionati e futuri derivanti dai cambiamenti climatici, a cui ha contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, continuando a investire nei combustibili fossili». L’obiettivo delle organizzazioni è quello di far imporre ad ENI una profonda revisione della sua strategia industriale allo scopo di far ridurre le emissioni derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 e rispetto ai livelli del 2020. Inoltre, gli ambientalisti chiedono che il Ministero dell’Economia e delle Finanze «sia obbligato ad adottare una politica climatica che guidi la sua partecipazione nella società in linea con l’Accordo di Parigi». Le associazioni confidano che le prove scientifiche, ormai schiaccianti sulla responsabilità delle compagnie fossili in fatto di crisi climatica, aiutino a vincere il contenzioso. Molti legali esperti di controversie sul clima, tra l’altro, affermano che i documenti associati al caso ENI dimostrano che l’azienda aveva, già mezzo secolo fa, una chiara comprensione dei rischi posti dalla combustione dei suoi idrocarburi.

Di contro, il colosso energetico ha deciso di avvalersi di due consulenti dichiarati “esperti indipendenti” ma che, a detta delle organizzazioni, non lo sarebbero affatto. A redigere i pareri tecnici della difesa, in prima linea, vi è Carlo Stagnaro, attuale direttore degli studi e delle ricerche dell’Istituto Bruno Leoni, gruppo liberista noto per lo scetticismo sui cambiamenti climatici. L’Istituto, in particolare, avrebbe un intimo rapporto con la coalizione statunitense Cooler Heads, la quale ha lavorato per promuovere il negazionismo climatico negli USA e persino rivestito un ruolo nella decisione di Trump di far uscire il Paese dall’Accordo di Parigi. Nel 2008, inoltre, l’istituto ha contribuito a organizzare a New York l’evento ‘Global warm is not a crisis’. Senza contare che, nel 2010, avrebbe ricevuto direttamente donazioni dal colosso fossile Exxon e dalla stessa ENI. Ma non finisce qui. L’altro esperto interpellato dal Cane a sei zampe è Stefano Consonni, professore ordinario di sistemi per l’energia e l’ambiente con un profondo legame professionale con almeno tre grandi aziende petrolifere, tra cui la stessa ENI. «Da più di vent’anni – spiegano le organizzazioni – il suo nome compare come ricercatore principale o partecipante a studi finanziati, solo per citare alcuni casi, da ENI, Exxon Mobil Corporation e BP, società petrolifera del Regno Unito».

Qualunque dovesse essere la linea che la difesa porterà avanti, le accuse mosse dagli ambientalisti appaiono fondate. Tra le prove della negligenza dell’azienda, ad esempio, figura uno studio commissionato dalla stessa ENI, nel 1969, al proprio centro di ricerca ISVET. Dal rapporto, reso pubblico solo di recente, era emerso chiaramente che, se non controllato, l’aumento dell’uso di combustibili fossili avrebbe potuto portare a una crisi climatica nel giro di pochi decenni. Le organizzazioni hanno poi scelto di basarsi su un’analoga causa intentata e vinta nei Paesi Bassi contro la multinazionale petrolifera Royal Dutch Shell. La compagnia anglo-olandese, come stabilito da un tribunale de L’Aia, dovrà ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra del 45% rispetto ai livelli del 2019. I giudici hanno infatti ritenuto poco concreta la politica sulla sostenibilità della Shell ed hanno così imposto a quest’ultima di rispettare gli Accordi sul clima di Parigi. Nel complesso, va poi precisato che quelli menzionati sono tutt’altro che dei casi isolati. I contenziosi climatici, a livello globale, sono sempre più frequenti. Con oltre duemila cause del genere avviate fino ad oggi, il dato è più che raddoppiato rispetto al 2015.

[di Simone Valeri]

 

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