Dopo un’approfondita inchiesta di Le Monde e Radio France durata alcuni anni, in Francia è scoppiato un enorme scandalo riguardante l’universo delle acque minerali che ha colpito importanti produttori, tra cui Nestlé Water (appartenente alla multinazionale svizzera), ma anche altre ‘big’ del settore come Vittel, Contrex e Perrier. Secondo quanto appurato, infatti, un marchio su tre avrebbe violato le regole filtrando l’acqua illegalmente per eliminare contaminazioni. La legislazione francese afferma che, in seguito ai controlli, le acque minerali devono essere imbottigliate così come sgorgano dalla sorgente, essendo contemplata soltanto l’eventuale aggiunta di anidride carbonica per renderle frizzanti. L’inchiesta ha fatto invece emergere l’utilizzo di trattamenti con sostanze non autorizzate, tra cui il solfato di ferro, microfiltrazioni inferiore alla soglia permessa e acque etichettate come minerali o di sorgente che sono state invece mescolate con acqua di rubinetto. Lo scandalo si estenderebbe fino al governo francese, che, nonostante fosse stato informato da Nestlé delle pratiche illegali dall’estate del 2021, avrebbe messo mano a modifiche normative in violazione delle norme Ue per favorire le necessità del gruppo.
In Francia, così come avviene in maniera analoga nel nostro Paese, le acque in bottiglia vengono catalogate in tre differenti tipologie: minerale naturale (come Perrier, Vittel, Evian), di sorgente (Cristaline) e acque per il consumo umano, che vengono potabilizzate attraverso un trattamento. Le prime due, venendo prelevate da falde acquifere sotterranee profonde, dovrebbero dunque essere sane dal punto di vista microbiologico, non portando con sé alcun pericolo di contaminazione. E, per questo motivo, molto più costose delle altre. L’Agenzia francese di sicurezza sanitaria degli alimenti (AFSA) ammette solo l’utilizzo di filtri che consentano di eliminare eventuali particelle di ferro o manganese, non andando a mutare le caratteristiche microbiologiche dell’acqua di sorgente. Eppure, nel 2020, un dipendente del gruppo Alma segnalò una serie di anomalie presenti su un portale dell’azienda alla Direzione generale per la repressione delle frodi (Dgccrf), che in seguito individuò una serie di “pratiche commerciali ingannevoli”. Da qui, emerse che Alma avrebbe utilizzato trattamenti a raggi ultravioletti e filtri a carbone attivo, che per l’acqua della sorgente erano vietati, mescolando addirittura l’acqua con quella del rubinetto.
Così, l’indagine della Dgccrf si è progressivamente ampliata, coinvolgendo numerosi altri marchi, tra cui il colosso Nestlé Waters, che si sarebbe rivolto alle autorità ammettendo di aver effettuato trattamenti vietati per preservare “la sicurezza alimentare” delle acque, cercando di ovviare ai “cambiamenti delle condizioni climatiche e ambientali”, “al moltiplicarsi di eventi estremi come siccità e inondazioni” e agli effetti dell’“espansione delle attività umane” intorno ai loro siti. Nella loro inchiesta, Le Monde e Radio France hanno allegato il contenuto di documenti da cui si rileva l’utilizzo negli impianti dell’azienda di filtri nascosti all’interno degli armadi elettrici, nonché reso pubblici i risultati di un corposo report dell’Igas (Ispezione degli affari sociali) redatto nell’estate del 2022, tenuto segreto e consultato dagli autori dell’inchiesta giornalistica, che indicava che almeno il 30% dei marchi francesi aveva utilizzato tecniche di filtrazione non conformi alla normativa. Ad entrare in gioco sarebbe stato anche il governo di Parigi, che – senza far passare la questione dal vaglio della magistratura o delle istituzioni europee – avrebbe deciso di trattare con Nestlé, indicando alle Prefetture di autorizzare tecniche di microfiltrazione al di sotto degli 0,8 micron in cambio della rinuncia, da parte dell’azienda, di una serie di trattamenti non regolamentari. La procura di Epinal ha ora aperto un’inchiesta preliminare nei confronti di Nestlé Waters, affidando le indagini al dipartimento investigativo nazionale della Direzione generale della concorrenza, dei consumatori e del controllo delle frodi.
Lo scandalo emerso non ha scosso solo la cittadinanza francese, ma anche quella degli altri Paesi europei, dove, in generale, le norme su acqua e potabilizzazione sono molto simili a quelle di Parigi. Prendendo il caso dell’Italia, infatti, si scopre che le categorie attraverso cui vengono tipizzate le varie acque sono sostanzialmente le medesime. Anche secondo la normativa italiana le acque minerali e di sorgente non subiscono alcun trattamento di potabilizzazione, ma solo, nell’eventualità, una filtrazione funzionale all’eliminazione di composti di ferro e zolfo. La differenza è che, in Italia, le acque minerali non hanno limiti rispetto al contenuto salino, mentre quelle di sorgente devono rispettare i parametri stabiliti per quelle potabili. In vendita, poi, si trovano anche altre “acque destinate al consumo umano”, dunque potabilizzate. A disciplinarle, il D.lgs n. 18/2023, che ha introdotto una serie di novità a livello legislativo. In particolare, il provvedimento delinea un approccio alla sicurezza dell’acqua basato sul rischio, atto – almeno sulla carta – a garantire la salubrità delle risorse idriche e il loro accesso equo e universale mediante un controllo olistico che consideri gli eventi pericolosi di qualunque natura, compresi i cambiamenti climatici. Obiettivo della norma è anche quello di fornire ai cittadini una comunicazione più trasparente tramite l’introduzione dell’obbligo di assicurare al pubblico, almeno una volta all’anno, in bolletta o attraverso modalità telematiche, “informazioni adeguate e aggiornate sulla produzione, gestione e qualità dell’acqua potabile erogata”.
[di Stefano Baudino]