Aleksej Navalny era a un passo dalla libertà, ma “poi Putin cambiò idea”. Dopo una lunga trattativa per scambiare l’attivista con l’ufficiale russo Vadim Krasikov, che sta scontando l’ergastolo in Germania per l’uccisione nel 2019 dell’ex comandante separatista Zelimkhan Khangoshvili nel parco del Tiergarten, “l’odio” avrebbe accecato lo zar, che ha fatto saltare il banco e ha “ucciso” il dissidente. Col veleno, un pugno al cuore o l’assideramento, poco importa. È questa la nuova, ennesima ricostruzione dei media mainstream sulla morte del dissidente russo. Sebbene in totale assenza di prove, i mezzi di informazione di massa hanno abbracciato acriticamente il racconto di Maria Pevchikh, collaboratrice di Navalny, secondo cui Putin avrebbe fatto fallire lo scambio di prigionieri all’ultimo minuto, per il livore nei confronti del suo “oppositore”.
L’inchiesta di Bild su uno “scambio di detenuti” tra USA, Russia e Germania (accennato persino da Putin nell’intervista con Tucker Carlson) ha spinto i media a rivedere in corsa le precedenti versioni. Possono cambiare gli indizi, possono affiorare nuove testimonianze, ma il sottotraccia rimane lo stesso: Navalny è stato ucciso da Putin. Nessun dubbio a riguardo. La possibilità di una morte naturale sembra non aver sfiorato la mente di nessun giornalista nelle redazioni italiane, a partire da Repubblica, che è stata tra i primi a emettere un verdetto di colpevolezza e a titolare “omicidio di Stato”. Il ritratto del presidente russo che emerge dagli organi di stampa è persino farsesco, il tipico villain: un uomo emotivo, che non riesce a tenere a bada le proprie emozioni, disposto ad andare contro i propri interessi (le presidenziali, per esempio), pur di esaudire la sua sete di vendetta.
Fin dalla notizia della morte del blogger russo, i quotidiani occidentali sono stati sicuri della responsabilità e della modalità dell’omicidio, per alcuni pianificato, per altri improvviso. Come abbiamo già spiegato in un precedente articolo, con la sua morte, l’Occidente ha suggellato il ritratto di Alexei Navalny, rendendolo un simbolo di libertà, un moderno santo protettore dei valori democratici, schiacciato a morte dallo zar.
A pochi minuti dalla notizia del suo decesso, infatti, i quotidiani parlavano già di avvelenamento. Secondo altri, sarebbe morto di freddo o l’assideramento sarebbe stato una concausa. L’indomani la versione era già cambiata, ma come insegna il bipensiero orwelliano, era sempre stata quella corretta: un “pugno al cuore”, secondo The Times, chiaramente una classica tecnica del KGB per liquidare gli oppositori. Il fatto che Navalny avesse avuto delle convulsioni prima della sua morte e che i presunti lividi sul petto potessero indicare i tentativi di rianimazione, non ha sfiorato nessuno.
Fatto sta che per Il Foglio, la dinamica cambia poco, Navalny è stato ucciso: “La sua morte non è altro che la vendetta di Putin contro ogni oppositore”. A chi dovrebbe fare informazione, non interessa stabilire come siano andate le cose. La verità sfuma all’orizzonte, soffocata dalla propaganda. Se per La Stampa, Putin ha superato la “linea rossa”, Vanity Fair ci consegna un ritratto di supercattivo: “Alexei Navalny: mentre moriva, Putin rideva”. Se ancora Il Foglio è convinto dei “calcoli premeditati del Cremlino per far scomparire l’oppositore”, Il Riformista ricorda che veniva “torturato anche quando si lavava la faccia”, mentre La Repubblica firma un riepilogo su “Tutti i veleni di Putin, dal polonio al Novichok”.
Un caso emblematico ci viene dal Post, dove Eugenio Cau e la giornalista Anna Zafesova, in una puntata di Globo, spiegano perché Putin ha ucciso Navalny e in che modo con lui la Russia ha perso il suo migliore politico e la sua migliore speranza. Cau esordisce nel podcast senza mezzi termini: “Vladimir Putin ha ucciso Alexsey Navalny, il suo principale oppositore” e spiega che, anche non sono ancora note le cause del decesso, “sappiamo” chi ha voluto e ordinato la morte del dissidente russo: ovviamente, Putin, che così ha mandato un “messaggio sprezzante” all’Occidente.
È passata quasi inosservata l’intervista a Kirilo Budanov, a capo della direzione principale dell’intelligence del ministero della Difesa ucraina che, a sorpresa, ha suffragato la versione del Cremlino. Secondo l’intelligence ucraina, Navalny sarebbe morto per “cause naturali”, per un coagulo nel sangue. “Potrei deludervi – ha dichiarato Budanov – ma quello che sappiamo è che è morto davvero per un coagulo di sangue. E questo è più o meno confermato. Questo non è stato preso da internet, ma, sfortunatamente, si tratta di morte naturale”. Budanov, peraltro, in passato non si era fatto problemi a puntare il dito contro il Cremlino, accusandolo di aver avvelenato sua moglie, ma in questa occasione ha generato imbarazzo tra le redazioni giornalistiche, dando ragione a Mosca.
Se è più che lecito avere dei sospetti sulla scomparsa di Navalny, così come denunciare le condizioni della sua prigionia, la deontologia imporrebbe la pazienza di una ricerca accurata, volta a ricostruire in maniera obiettiva la dinamica della sua morte. Invece, la granitica certezza e le molteplici quanto fantasiose ricostruzioni sbandierate dai media occidentali dovrebbero far riflettere su come il giornalismo sempre più spesso scivoli nella sciatteria e nella disinformazione. A maggior ragione quando a inebriarsi dai fumi della propaganda sono gli autoproclamatisi professionisti dell’informazione, che oggi esaltano un dissidente comodo all’Occidente, ma ogni giorno fanno la morale a chiunque manifesti un pensiero divergente.
[di Enrica Perucchietti]
perché in tutto l’articolo non viene mai ricordato che Navalny era un ultranazista, omofobo e razzista? Perché non viene neppure mai ricordato che era al soldo della NED ed era stato formato appositamente in un’università USA e faceva parte di una rete dui agenti disturbatori all’estero che facevano gli interessi degli USA?
Sono tre semplici informazioni che a mio avviso non possono mai essere taciute quando si parla di Navalny:
1. ultra nazista
2. finanziato dalla NED
3. formato a Yale col Greenberg World Fellows Program (e che program!).
Io ci aggiungerei anche che Navalny come oppositore non rappresentava quasi nessuno. Il più grande oppositore di Putin è il partito comunista!
Quando si chiariscono le balle della narrazione dominante non è il caso di chiarirle tutte o almeno le principali?
Massima stima e simpatia per la giornalista Enrica Perrucchietti che seguo praticamente ovunque. Qui il riferimento è al contenuto dell’articolo, finito di leggere il quale non si capisce chi era in realtà Navalny: tutt’altro di come è stato dipinto. CFi assomiglia di più babbo natale.
Ecco l’articolo che cerchi, Gianni: https://www.lindipendente.online/2024/02/19/alexei-navalny-la-vera-storia-di-un-dissidente-creato-dagli-usa/
Saluti
L’ultima frase è da appendere ai muri: “A maggior ragione quando a inebriarsi dai fumi della propaganda sono gli autoproclamatisi professionisti dell’informazione, che oggi esaltano un dissidente comodo all’Occidente, ma ogni giorno fanno la morale a chiunque manifesti un pensiero divergente.”. Brava Enrica!
Credo che dopo il pensionato che ha abbattuto un Sukhoi-34 (un jet che vola a 2000 km/h dal costo di 36 milioni) con un fucile da caccia possano scrivere qualunque cosa che qualcuno che ci crede lo troveranno sempre. Anche il pugno di Okuto.
Mi scuso per aver scritto in maniera errata il cognome.
Complimenti ad Enrica Perrucchietti per la lucidità, la sintesi e la chiarezza con cui affronta la tematica e che ogni spirito libero e scevro da pregiudizi dovrebbe riconoscere. Già solo questo articolo giustifica la sottoscrizione del mio recente abbonamento. Grazie di essere una giornalista vera.