Marco ha 68 anni, barba lunga e capelli grigi. Lo incontro nella sua casetta, ai piedi della montagna più alta dell’Ecuador, il Taita Chimborazo, di 6.310 metri di altezza. Un gigante di roccia e ghiaccio che si impone maestoso nella provincia che assume il suo nome. La prima volta che Marco salì sulla vetta del Chimborazo aveva 13 anni. La sua vita si è svolta in simbiosi con questa montagna sacra, di cui mantiene un ricordo e conoscenze che ormai si stanno perdendo, insieme al ghiacciaio che va ritirandosi.
La cosmovisione andina
La leggenda narra che questo vulcano ghiacciato, uno dei guerrieri più potenti della cosmovisione andina, combatté per molti anni con eruzioni, terremoti e nuvole di fumo contro l’avversario Chimborazo per conquistare l’amata rubacuori Tungurahua. Il Taita (padre) Chimborazo, la montagna più alta del Paese, fu il vincitore e riuscì a sposare il vulcano Tungurahua. Dalla loro unione nacque il Guagua (bambino) Pichincha che, quando piange, fa diventare irrequieta la mamma vulcano, di 5.023 metri di altezza, che inizia a buttare fumo e ad agitarsi.
Nella cosmovisione indigena, la terra, o Pacha Mama (madre terra) è un essere vivente. Gli esseri che la abitano, come le montagne, i vulcani e i ghiacciai, sono esseri viventi e, come tali, hanno le loro storie, i loro amori e i loro sentimenti. La tradizione andina, nella quale la parola “ghiacciai” non esiste, colloca queste “montagne innevate” nel mondo soprannaturale. Non sono “deserti bianchi” ma luoghi ricchi di vita, occupati da divinità ancestrali che, a seconda del popolo che ne parla, acquisiscono nomi e storie diverse. Lungo tutte le Ande le comunità hanno sempre cercato di ottenere la loro benedizione attraverso rituali, culti e offerte, compresi sacrifici umani praticati durante il periodo Inca. Si cercava così di ottenere i loro favori, come acqua sufficiente per coltivare e condizioni favorevoli per un buon raccolto, per permettere la sopravvivenza della comunità.
La scomparsa dei ghiacciai
La Mama Tungurahua, la “gola di fuoco”, non ha più ghiaccio. La sua cima è una distesa di terra e neve, ma il suo ghiacciaio è stato tra i primi a scomparire completamente. Il Carihuairazo è un vulcano alto 5.020 metri. Il suo nome in kichwa, una delle lingue più antiche della regione, significa “uomo del vento e della neve”. È stato uno dei primi grandi ghiacciai a sparire. Il suo volume si è ridotto del 92% dal 1956: oggi misura appena 30.000 metri quadrati e si prevede che scomparirà completamente nel prossimo decennio. Il vulcano Cayambe è la terza montagna più alta, coi suoi 5.230 metri di altezza a picco sull’equatore. Poco più di 25 anni fa i suoi 20 ghiacciai, spessi e maestosi, si estendevano per chilometri: ora la maggior parte si sta ritirando completamente (il 40% è andato perso nel corso di una generazione), lasciando sempre più spazio a rocce e terra. L’Antisana è il più grande massiccio glaciale dell’Ecuador, che contava 15,3 km quadrati nel 1997. I suoi ghiacciai hanno già perso il 50% della loro superficie. L’Illiniza Sur, un’altra delle più maestose montagne del Paese, vedrà scomparire completamente la sua distesa innevata nei prossimi dieci anni. Bolivar Careces, uno dei principali glaciologi dell’Ecuador, ritiene che tutti i ghiacciai andini al di sotto dei 5.000 metri spariranno entro i prossimi 10-15 anni se l’aumento della temperatura si manterrà su 1° centigrado. Prospettiva sin troppo ottimista, se si considera che gli scienziati sperano ormai di rimanere sotto l’1,5 °C di aumento. Tutti i ghiacciai ecuadoriani stanno restringendosi a grande velocità. «Sin dalle culture più antiche, prima degli Inca, il Chimborazo è sempre stata considerata una montagna sacra, un luogo divino. Si veniva in pellegrinaggio, venivano a chiedere i favori, a chiedere buone relazioni con gli spiriti che vivevano la montagna… si facevano sacrifici, offerte e ci sono moltissimi luoghi archeologici intorno al nevado del Taita Chimborazo». Marco è salito centinaia di volte su quelle vette. Ha visto ghiacciai estinguersi ed altri ridursi violentemente. Negli anni ’60 erano ben poche le persone interessate a queste dinamiche: fu solo a partire dagli anni ’80 che si iniziò a guardare alla perdita dei ghiacciai come a un problema. «Negli anni ’80, quando costruimmo il rifugio Whymper, sul Chimborazo, ricordo che ci mettevamo i ramponi direttamente nel rifugio, che stava al bordo della lingua del ghiacciaio, giusto lì! E oggi questo ghiacciaio si è ritirato, ha perso tutto… tutta la lingua. Ora c’è solo una piccola lingua a 5700 metri di altezza da quel lato e questo è drammatico. Sta succedendo in tutti i 18 ghiacciai del Chimborazo. Sappiamo che negli ultimi 50 anni più del 50% della superficie del ghiacciaio è scomparsa, è retrocessa di oltre 600 metri in mezzo secolo».
Le conseguenze dello scioglimento
«Io non ho una conoscenza scientifica, accademica». Marco non ha studiato all’università o altro. «Quello che vedo e riscontro è la distruzione degli ecosistemi, tanto nella montagna dove vive il paramo (il complesso ecosistema delle Ande, ndr.) così come nella selva umida e piovosa dell’Amazzonia, fino alla costa del Pacifico, o ai boschi nebbiosi sud tropicali. Sono testimone di come, in questi 50 anni, i boschi andini siano stati distrutti, nell’ovest come nella parte orientale dell’Ecuador, per essere trasformati in zone di coltivazione e pastorizia. Molta gente è emigrata. Gli alberi millenari, i polilepis, sono ormai quasi scomparsi. Il paramo è stato devastato per far spazio a campi e allevamenti». Nella cosmovisione andina, come dicevamo, tutto è uno, tutto è interconnesso. Lo storico portoghese Luis Ribeiro Tabares riassume molto bene il pensiero andino preispanico: «Per l’uomo andino tutto ciò che esiste è costituito in un’unità, che è formata dalle stelle, dal sole, dalla luna, dagli esseri umani, dagli alberi, dagli animali, dalle montagne, dai fiumi, dalle rocce, ecc. Tutti questi elementi hanno vita e stabiliscono una relazione costante e permanente. Quindi, per mantenere un rapporto armonioso tra l’uomo e la natura, era necessario un dialogo costante tra tutti gli elementi della natura e l’uomo». Un dialogo che è andato sgretolandosi fino a diventare imposizione e ricerca di dominio dell’uomo su tutte le altri specie viventi e sulla natura.
Questa mentalità e questa pratica disarmonica sono ciò che sta causando i disastri ecologici e climatici che osserviamo oggi. Di certo sappiamo che il 92% dei ghiacciai in Colombia è scomparso completamente negli ultimi 150 anni, con un ritmo del 3% all’anno. Tra pochi anni, di questo passo, nel Paese non vi saranno più nevi permanenti. Il Venezuela diventerà il primo Paese dell’America Latina a rimanere senza ghiacciai. L’ultimo sopravvissuto è il Pico Humboldt, che è passato da avere 337 ettari di ghiaccio nel 1910 a 4 ettari nel 2022. In 50 anni, secondo i calcoli sono scomparsi circa 10 miliardi di tonnellate di ghiaccio in tutto il pianeta. Anche nella regione delle Alpi, i dati sono spaventosi: i ghiacciai hanno perso qui un sesto del loro volume totale nel corso di quattordici anni. Tra il 2000 e il 2014 sono scomparsi 22 chilometri cubi di ghiaccio alpino. In 40 anni, un terzo della superfice ghiacciata si è sciolta e, nel solo 2022 si parla di 300 milioni di metri cubi di ghiaccio. Uno dei peggiori ritiri degli ultimi cento anni.
Le cause sono varie: le sempre maggiori emissioni di CO2 nell’atmosfera a causa delle attività industriali umane; l’intensiva combustione di carboni fossili; il processo di deforestazione che sta massacrando tutte le ultime foreste sul globo, con conseguente minore assorbimento della CO2 nell’atmosfera. Per quanto riguarda i ghiacciai in America Latina, tra le cause vi sono gli incendi della foresta amazzonica e la conseguente dispersione delle ceneri, i disboscamenti selvaggi per creare allevamenti e agricoltura intensiva, le eruzioni vulcaniche. Le conseguenze della perdita di questi giganti bianchi non sono solo spirituali e filosofiche, ma molto pratiche. Milioni di persone hanno acqua e terreni fertili grazie ai ghiacciai; altri milioni sopravvivono nelle città sudamericane per merito dei fiumi e torrenti che scaturiscono da quelle montagne, che altrimenti vivrebbero lunghi periodi di siccità. Enorme l’impatto anche sulla perdita di biodiversità, che interesserà soprattutto la fauna acquatica e dei dintorni dei manti innevati. Le Ande tropicali, infatti, ospitano circa 3.400 specie di animali vertebrati, che vedranno cambiare l’ecosistema in cui vivono. Anche le specie vegetali verranno minacciate dalla scomparsa dei ghiacciai andini. Si parla di circa 30.000 specie vegetali endemiche che popolano la regione che saranno a rischio di sopravvivenza. Lo scioglimento dei ghiacciai contribuisce oggi a quasi il 5% dell’innalzamento globale del livello del mare osservato, contribuendo a cambiare la temperatura dell’acqua e quindi a influenzare la vita di migliaia di specie marine.
Perdita delle tradizioni
erano indigene e due volte a settimana salivano sul Chimborazo, invece di usare bene questo privilegio che avevano lo convertirono in una offerta turistica, per salire a prendere il ghiaccio per i turisti».
Chi ha memoria, non dimentica ciò che è stato. Marco rimarrà lì, ai piedi del gigante più alto dell’Ecuador, un guardiano di altri tempi a protezione del Chimborazo, il guerriero che per millenni ha protetto le comunità andine. E che ora, necessita protezione.
[testo di Monica Cillerai, foto di Antonio Giacometti]