mercoledì 3 Luglio 2024

In tutta Italia aumentano le organizzazioni che ridanno vita ai beni confiscati alle mafie

Sono ben 1.065 i soggetti attualmente impegnati nella gestione dei beni immobili confiscati alle mafie, il 7% in più rispetto allo scorso anno e addirittura il 36% in più rispetto a cinque anni fa. Lo ha attestato l’associazione Libera all’interno del suo dossier Raccontiamo il bene, che offre una nuova fotografia sul crescente impegno del mondo delle associazioni, delle cooperative sociali, delle diocesi, delle parrocchie e di molte altre organizzazioni sul fronte del riutilizzo sociale dei beni confiscati, che vengono ottenuti in concessione dagli enti locali. Il maggior numero di realtà attive sul campo è presente in Sicilia (285), cui segue la Campania (170). La Lombardia, con 151, si posiziona addirittura prima della Calabria, che ne conta 149. Al quinto posto c’è la Puglia (123), Seguita da Lazio (54) e Piemonte (41). Nel 56,8% dei casi, le attività svolte sfruttando i beni confiscati concernono welfare e politiche sociali; nel 25,6%, promozione culturale e turismo sostenibile; infine, il 10% sono attività incentrate su agricoltura e ambiente, il 4,7% su produzione e lavoro, il 2,8% sullo sport.

Da quando vengono sequestrati fino alla destinazione agli Enti Locali, i beni confiscati seguono un percorso burocratico durante il quale, a seconda della fase, assumono una classificazione diversa. In un primo momento, quando sono sottoposti a confisca anche non definitiva, si parla di beni “in gestione”, mentre quando giungono al termine dell’iter legislativo, dalla confisca alla destinazione, vengono denominati “beni destinati”. Fanno parte di questo insieme i beni trasferiti ad altre amministrazioni dello Stato, per finalità istituzionali o usi governativi, oppure a Comuni, Regioni, città metropolitane o Province, per scopi sociali. Il dossier di Libera spiega che nel febbraio 2024, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, sono nettamente diminuiti i beni immobili in gestione (da 24.522 a 19.871, -19%), mentre sono aumentati i beni immobili destinati (da 19.790 a a 22.548, +14%). Stesso discorso per le aziende: mentre cala il numero di quelle in gestione (da 3.366 a 1.764, -48%), sono sempre di più quelle destinate (da 1.761 a 3.126, +77%). La buona notizia è che, a fronte di un aumento dei beni destinati, cresce anche il numero delle realtà chiamate a gestire materialmente i beni confiscati. Al primo posto ci sono le associazioni (563), seguite dalle cooperative sociali (232). In prima linea ci sono poi anche gli enti ecclesiastici (62), ATS e ATI (39), Fondazioni private e di comunità (33), scuole di vari ordini e gradi (31), enti pubblici che lavorano in co-progettazione con il terzo settore (31), gruppi scout (18) e consorzi di cooperative (15). A chiudere, ci sono società e associazioni sportive (14), comunità (6) ed enti di formazione e ordini professionali (2). 250 dei 1.065 soggetti gestori del terzo settore censiti da Libera sono presenti nel Nord Italia, 74 nel Centro e ben 741 nel Sud dello Stivale.

I sequestri e confische dei beni alla mafia vennero introdotti per la prima volta dalla Legge Rognoni-La Torre, che, nel 1982, inserì all’interno del codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali. A prevedere che i beni confiscati possano essere riutilizzati per scopi sociali sarà invece la Legge 109 del 1996, presentata da alcuni deputati e promossa, attraverso una campagna di raccolta di firme, da Libera nel suo primo anno di vita. La valenza di tale misura è evidente: colpire la mafia tanto nella dimensione economica quanto nel suo potere simbolico, restituendo le ricchezze da essa accumulate alla collettività. In questo sono impegnate le associazioni del network di Libera, la cui attività principale è proprio quella di dare nuova destinazione ai beni e alle terre sottratti alla mafia, affidandone la gestione a Comuni e associazioni, benché le difficoltà burocratiche spesso rendano i percorsi di riconversione lunghi e farraginosi. “Raccogliamo segnali preoccupanti del mondo della politica: un attacco costante alle misure di prevenzione, tentativi di privatizzare i beni confiscati e piegarli alla logica dell’economia capitalista, una gestione delle risorse dedicate ad oggi piuttosto confusionaria – ha denunciato Libera nel suo report –. Non possiamo accettare che ci siano passi indietro su questo. Le misure di prevenzione si sono dimostrate uno dei più importanti strumenti nella lotta alle mafie e alla corruzione, perché da subito hanno agito sul controllo economico e sociale con il quale i clan soffocano i territori”.

[di Stefano Baudino]

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