giovedì 26 Dicembre 2024

Mascherare il massacro: la fuffa degli aiuti per via marittima e aerea su Gaza

Venerdì 8 marzo sul sito web della Casa Bianca è apparsa una dichiarazione che annunciava formalmente la volontà di creare un corridoio marittimo verso Gaza per fornire cibo e acqua ai civili palestinesi. La dichiarazione segue l’annuncio pubblico lanciato da parte del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden il giorno precedente, che durante l’annuale Discorso sullo stato dell’Unione ha informato trionfalmente, sotto uno scroscio di applausi, l’iniziativa umanitaria, per la quale «Israele dovrà fare la sua parte». Lungi dal «garantire un incremento massivo» nelle consegne di rifornimenti di prima necessità ai civili, tuttavia, l’iniziativa rischia di risultare l’ennesimo intervento insufficiente scadendo nel proverbiale fumo senza arrosto. Il discorso di Biden, carico di pathos e aspettative di risoluzione, ricorda infatti gli annunci arrivati solo qualche giorno prima relativi al lancio degli aiuti via aria, che tutto si sono rivelati meno che veramente determinanti nell’alleviare le condizioni estreme in cui versa la popolazione araba della Striscia. A tal proposito non sono mancate le osservazioni da parte di tecnici e analisti, che sempre più a granvoce sottolineano come l’unico modo per far fronte all’emergenza umanitaria in Palestina sia l’imposizione di un cessate il fuoco e il ricorso agli aiuti via terra.

Stando a quanto si legge nella dichiarazione congiunta, l’iniziativa di fornire aiuti umanitari via mare è stata sottoscritta e sarà appoggiata da Stati Uniti, Regno Unito, Unione Europea, Emirati Arabi Uniti e, ultima ma non meno importante, Repubblica di Cipro. Proprio la Repubblica di Cipro, infatti, sarà a guida nello sviluppo della “Iniziativa Amaltea”, poiché le navi dovrebbero partire dal porto mediterraneo di Larnaca. Amaltea intenderebbe fornire aiuti rapidi, efficaci e diretti alla popolazione di Gaza, arrivando, secondo il Portavoce del Dipartimento di Difesa statunitense Patrick Ryder, a fornire «2 milioni di pasti al giorno». Nella dichiarazione del Pentagono, rilasciata qualche ora dopo l’annuncio della Casa Bianca, vengono comunicati maggiori dettagli sulla realizzazione dell’iniziativa: da quanto si apprende dal Dipartimento della Difesa statunitense, l’obiettivo della missione sarebbe portato avanti attraverso la costruzione di un “molo temporaneo” al largo della costa di Gaza dove arriverebbero gli aiuti necessari, e cui trasporto sarebbe finanziato dai diversi attori coinvolti.

A far dubitare dell’iniziativa sono parecchie cose: come sottolineano l’ex alto funzionario umanitario nell’amministrazione Biden e attuale Presidente di Refugees International Jeremy Konyndyk, e il Relatore Speciale sul Diritto all’alimentazione ONU Michael Fakhri, gli aiuti via mare, per quanto possano rivelarsi certamente utili, sarebbero troppo lenti e costosi rispetto a quelli via terra. Il loro arrivo sarebbe inoltre localizzato e non è ben chiaro come e chi dovrebbe prendersi carico della loro distribuzione, elemento di non indifferente importanza visto che, per quanto piccola, la Striscia è lunga 40 chilometri. Insomma, piuttosto che risolvere il problema, gli aiuti marittimi lo traslerebbero da un’altra parte, spostando il focus dalla questione dell’accesso a quella della distribuzione. Oltre alle questioni più tecniche relative alla gestione degli aiuti, ciò che più spinge a credere che l’iniziativa Amaltea sia più vicina all’essere una mossa propagandistica che un effettivo tentativo di risoluzione della crisi umanitaria a Gaza, sono i tempi di realizzazione: da quanto si apprende sul sito del Pentagono, infatti, il molo temporaneo dovrebbe venire costruito in 60 giorni, tempistica abbastanza elastica da lasciare che Israele continui indisturbata nella sua operazione di pulizia etnica e, sottolinea Konyndyk, fin troppo larga per affrontare il fatto che «i bambini stanno morendo di fame ora».

A quella che si preannuncia come un’iniziativa fallimentare, si affianca un’iniziativa che si è rivelata fallimentare in tempi record: la gestione degli aiuti aerei. L’Indipendente ha già trattato delle problematiche relative agli aiuti via aria in occasione della “strage della farina”, sottolineando come la quantità di pacchi e di rifornimenti di cui essi sono dotati sia fin troppo ridotta per far fronte alla carestia palestinese, e come la modalità attraverso cui essi vengono lanciati lasci al quanto a desiderare, visto che molti pacchi finiscono in mare, mentre quelli che arrivano a destinazione vengono presi d’assalto dai civili affamati, costretti ad accalcarsi su di essi per portarsi a casa un sacchetto di legumi. L’assoluta insufficienza degli aiuti via aria è stata a più riprese sottolineata dall’ONU, che ha spesso dichiarato come l’unica soluzione possibile siano gli aiuti via terra, da affiancare a un imposto cessate il fuoco. Questa inefficienza, poi, è stata pienamente confermata dall’episodio verificatosi venerdì 8 marzo, in cui 5 civili sono morti proprio a causa di una scatola di aiuti piombata loro addosso in seguito a un lancio difettoso nel quale non si è aperto il paracadute.

Considerati tutti questi elementi, e guardando il precedente degli aiuti aerei, l’iniziativa Amaltea pare assumere i contorni di uno strumento politico, piuttosto che di un autentico tentativo di risolvere la situazione. Lo stesso nome “Amaltea”, dal personaggio della mitologia greca da cui deriva il simbolo mitologico della cornucopia, il corno dell’abbondanza, appare come un altisonante, e a tratti grottesco, tentativo di dipingere l’operazione come una salvifica manna dal cielo. A denunciarlo è, tra gli altri, proprio Konyndyk che dopo aver sottoscritto le analisi avanzate dagli organi dell’ONU, osserva come «i passi che importano di più sono i passi che Biden sembra non volere compiere». Anche Fakhri ha sottolineato come, se si volessero percorrere, le strade davvero efficaci sarebbero altre. Queste, secondo lui, non passano solo dall’imposizione di un cessate il fuoco, ma arrivano anche alla prescrizione di un embargo nella vendita delle armi nei confronti di Tel Aviv, e a un inappellabile ordine di apertura dei corridoi umanitari, pena sanzioni.

[di Dario Lucisano]

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1 commento

  1. Molto interessante il commento di Laura Ru nel suo canale Telegram
    https://t.me/LauraRuHK/7887

    Preparations began to establish a port to receive “aid ships” west of Gaza after the US announced the establishment of a seaport off the coast of Cyprus.

    The goal is primarily political, not humanitarian:
    – Controlling Palestinian gas sources.
    – A free displacement platform (forcibly and voluntarily) for Palestinians, but later.
    – Establishing an international institution in place of UNRWA, to protect the occupation and cooperate with local client militias to distribute aid.
    – An American-Zionist military base.
    – Completely separating Gaza and isolating it from its surrounding mainland to ensure that weapons and materials are not smuggled.
    – Trying to improve the image of the occupation before the world and win Biden some of the Zionist lobby’s votes in the upcoming elections.

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