domenica 22 Dicembre 2024

Haiti nel caos: il presidente è fuggito a Puerto Rico

L’ultimo aggiornamento battuto dalle agenzie di stampa nella notte parla di «città sotto assedio» dopo che aggressori armati hanno preso di mira il palazzo presidenziale e la sede della polizia nella capitale Port-au-Prince. La poverissima nazione caraibica è nel caos da ormai una settimana, dopo che i gruppi armati politico-criminali che controllano gran parte della città hanno lanciato l’attacco al governo guidato dal primo ministro Ariel Henry. Dapprima hanno fatto irruzione nelle carceri, permettendo di evadere a oltre 4.000 detenuti, poi hanno attaccato ripetutamente le forze di polizia, assaltato il porto, l’aeroporto e il palazzo presidenziale, evidenziando ulteriormente l’incapacità delle forze di sicurezza haitiane nel ripristinare l’ordine. Henry da giorni è irreperibile, auto-esiliatosi a Puerto Rico in attesa che le acque si calmino, mentre di fatto il Paese è nel caos più totale. «Stiamo esaurendo il tempo a nostra disposizione», ha dichiarato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, testimoniando come la situazione sia prossima al punto di non ritorno.

Le bande criminali, riunitesi sotto la sigla di “Fòs Revolisyonè G9 an fanmi e alye” – Forze rivoluzionarie della famiglia G9 e alleati – sono capeggiate dall’ex poliziotto Jimmy Chérizier, detto Barbecue, il cui obiettivo è quello di rovesciare il governo illegittimo del primo ministro Ariel Henry. Insediatosi a capo del governo nel 2021, con l’appoggio degli Stati Uniti, e a seguito dell’assassinio dell’allora primo ministro Jovenel Moïse da parte di un commando di mercenari, Henry aveva il compito di guidare il paese verso le elezioni. Di cui ad oggi però non si conosce ancora la data. Il Primo Ministro di Haiti, che già nel 2022 aveva richiesto alle Nazioni Unite l’invio di un contingente militare in supporto alla polizia locale, si era recato la scorsa settimana in Kenya per siglare un accordo con il suo omonimo kenyota William Ruto. Il Kenya si era infatti impegnato nell’ottobre 2023 ad inviare nella Nazione caraibica un contingente di 1.000 poliziotti, nonostante il parere contrario dell’Alta Corte del Kenya, che lo scorso gennaio aveva dichiarato incostituzionale l’invio di suoi poliziotti fuori dai confini nazionali. Da oltre una settimana Henry non è presente ad Haiti, e dopo che le autorità della Repubblica Dominicana gli avevano negato il permesso di atterrare nel Paese confinante con Haiti, e incapace di atterrare nell’aeroporto di Port-au- Prince circondato dalle gang, ha dovuto trovare rifugio a Puerto Rico, dove si trova ormai dal 5 marzo.

La situazione di caos sta esacerbando una crisi umanitaria per la popolazione civile, che ha ancora deve fare i conti con i postumi del terribile terremoto che colpì il paese nell’agosto del 2021, causando oltre 2.000 vittime. Nel 2023, oltre 8.400 persone ad Haiti sono rimaste uccise, ferite o rapite come conseguenza delle violenze, il doppio rispetto al 2022. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) al dicembre del 2023, gli sfollati interni ad Haiti erano oltre 310.000, in un contesto in rapido deterioramento come hanno dimostrato gli eventi delle ultime settimane. Stando ai dati delle Nazioni Unite, ad Haiti 5,5 milioni di persone su una popolazione di 11,7 hanno bisogno di assistenza umanitaria, mancano inoltre i servizi basici come scuole e ospedali e nel Paese è in corso un’epidemia di colera.

Se ad Haiti mancano medicine e beni di prima necessità, quello che non manca invece sono le armi. Il circolo vizioso della violenza viene infatti accentuato proprio dal fatto che il Paese è diventato una delle principali rotte per il traffico d’armi nel continente americano. Un rapporto del gennaio 2024, da parte dell’agenzia dell’ONUDC (che si occupa di prevenzione del crimine e di controllo delle droghe) ha stabilito che la maggior parte delle armi illegali sequestrate provengono dagli Stati Uniti. Appare evidente quindi come un maggiore controllo da parte di Washington, sulla fine che fanno le armi prodotte all’interno dei suoi confini, sarebbe già un passo significativo nel ridurre le violenze ad Haiti come negli altri contesti ad alta criminalità dell’America Latina. Proprio per questo motivo il governo messicano aveva presentato una causa da 10 miliardi di dollari contro le principali compagnie statunitensi produttrici di armi, con l’accusa che queste aziende di fatto facilitassero il traffico d’armi in favore dei cartelli della droga.

Il destino di Haiti appare tristemente intrecciato con quello degli Stati Uniti, oggi come ai tempi dell’indipendenza nel 1791, quando dopo la cacciata dei colonizzatori francesi gli Stati Uniti si adoperarono per isolare diplomaticamente il paese e strangolarlo economicamente. I leader americani temevano che una Haiti indipendente e libera avrebbe ispirato le rivolte degli schiavi in ​​patria. Riconoscendo l’indipendenza del Paese solo nel 1862. Da allora gli interventi militari americani si sono susseguiti fin dall’era della “diplomazia delle cannoniere” all’inizio del XX secolo, quando il presidente Woodrow Wilson inviò un corpo di spedizione che avrebbe occupato il paese per due decenni. L’ultimo intervento militare risale al 2004, a seguito del colpo di stato che aveva deposto l’allora legittimo presidente Jean-Bertrand Aristide.

Sono passati venti anni dall’ultimo e un nuovo intervento militare da parte degli Stati Uniti, tramite il governo amico del Kenya, è alle porte. Il tutto, al solito, con il pretesto di riportare “la pace” in un paese sovrano che purtroppo nel 2024 ancora fa i conti con politiche e ingerenze coloniali non troppo dissimili a quelle dei secoli scorsi.

[di Enrico Phelipon]

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